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sabato 29 agosto 2015

MAMMA RITORNERO' PRESTO

Vicende di guerra tra una promessa disattesa ed una lettera mai recapitata
 
 
 
 
Di Aldo Magnoni

Per la morte, nel 1944, dell’Internato militare italiano Aldo Galanti di Casola, i documenti fino ad ora raccolti permettono di aggiungere l’ennesimo tassello alle brutalità subite dai prigionieri nei campi di sterminio tedeschi nonché dai loro familiari, sovente ignari della sorte del loro congiunto. Brutalità sicuramente aggravate da atteggiamenti spesso al limite del cinismo, sia da parte delle Autorità fasciste italiane durante il conflitto, sia dalle Autorità democratiche nei periodi a questo successivi.

La ricerca storica iniziata nel 2009 e finalizzata inizialmente all’eventuale individuazione del luogo di sepoltura in Germania, ha fornito risultati purtroppo tardivi per i genitori di Aldo Galanti, nonni materni di chi scrive, che morirono negli anni ’70 nella convinzione che il proprio figlio fosse, come si sentiva dire spesso in casa, "disperso in Germania". Era ed è invece sepolto nel cimitero Italiano d’Onore a Francoforte sul Meno insieme ad altri 4.787 "dimenticati di Stato" come li definì giustamente l’amico Roberto Zamboni. Le Autorità italiane preposte avevano semplicemente omesso di darne la dovuta comunicazione alla famiglia. Forse il timore che i congiunti pretendessero la restituzione delle salme, venendo a conoscenza del luogo di sepoltura, fece calare l’oblio sulla questione e mise in ogni caso al riparo le casse – ma solo quelle economiche – dello Stato Italiano che con la Legge n. 204 del 9/1/1951 all’art.4 secondo comma, freddamente recitava: "Le salme definitivamente sistemate a cura del Commissariato Generale non potranno essere più concesse ai congiunti". Non importò che il fiorentino Danilo Cardini, compagno di sventura di Aldo Galanti e deceduto alcuni mesi dopo di lui, implorasse con una straziante lettera la fidanzata, scrivendo "… Valentina, se dopo la guerra è possibile riavere le salme dei prigionieri, fai ogni sforzo, ma non farmi dormire fra gente straniera, almeno avrò il conforto di una lacrima e di un fiore."

Una analisi documentale sui non pochi documenti rinvenuti portò poi alla luce nuovi tristi particolari: alla cattura avvenuta dopo l’8 settembre del 1943, seguì l’internamento nel tristemente famoso Stammlager VI D di Dortmund, preludio di morte certa per chi come Galanti venne obbligato all’arruolamento nonostante fosse già ammalato di brucellosi o, come si diceva allora, febbri maltesi.

La corrispondenza con la famiglia ha evidenziato come le rassicurazioni inviate distintamente più volte sia ai genitori sia ai fratelli, altro non erano che pietose bugie ben lungi dalla triste realtà fatta di fame, lavori disumani, freddo e torture. L’ultima di queste lettere reca la data 24 gennaio 1944.

Dopo quella cartolina calò il grande buio tra quello sfortunato prigioniero ventiduenne e la propria famiglia che seppe soltanto sei anni più tardi della morte del figlio e mai fu loro comunicata l’esistenza del luogo di sepoltura. Forse con un poco di umanità tutto questo si sarebbe potuto evitare.

Tra i documenti si scopre infatti che il Comune di Montefiorino in data 9 settembre 1944 ebbe notizia del decesso di Galanti Aldo avvenuto in data 20 febbraio 1944 alle ore 8 nell’infermeria del campo di Dortmund. In questo atto vi fu un richiamo, poi non osservato, di "trasmettere con le dovute cautele la notizia ai famigliari".

La data del decesso risulta anche nella documentazione degli archivi nazisti sul verbale redatto in data 18 novembre 1944.

L’ 11 aprile 1945 l’ufficiale d’anagrafe del Comune di Montefiorino, trascrisse l’atto di morte a seguito della nota ricevuta dal Ministero degli Affari Esteri il 17 febbraio di quell’anno, riportando integralmente la nota stilata dal Comitato Internazionale della Croce Rossa. Anche su questo documento si riportò in modo non veritiero che "venne informata la famiglia a mezzo del prete assistente".

Solo attraverso un ormai inaspettato telegramma giunto alla mamma Emma Gigli ed al papà Michele Galanti, attraverso i Carabinieri in data 14 giugno 1949, il Ministero della Difesa comunica testualmente che il loro figlio "è deceduto il 22 febbraio 1944 in Germania per malattia. COMUNICAZIONE RITARDATA PER DISGUIDO POSTALE. Si prega di darne comunicazione alla famiglia residente a Montefiorino, esprimendo le più sentite condoglianze del Sig. Ministro". Sic!

Anche il Comune di Montefiorino alcuni giorni dopo, il 21 giugno 1949, confermò il "disguido postale" di ben cinque anni nella tardiva comunicazione, ma senza comunicare altri particolari come il luogo di sepoltura che era invece ben noto al Ministero.

La ricerca avrebbe potuto quindi a questo punto considerarsi conclusa ma un dubbio, su quella che poteva essere stata la causa di morte, ancora non lo permetteva: malattia in senso generico come scritto dal Ministero, enterocolite come scritto nei documenti del Comune di Montefiorino, o qualcosa di diverso si nascondeva dietro quella mancata indicazione sull’atto di morte stilato dalle S.S., che si limitarono a dichiarare soltanto che era morto nell’infermeria?

Si riparte quindi con uno studio sulle vicende all’interno dello Stammlager VI D di Dortmund attraverso l’incrocio delle corrispondenze ritrovate e le testimonianze note raccolte nel dopoguerra tra i prigionieri sopravvissuti. Un colpo di fortuna conduce chi scrive in un piccolo paese, Centallo, nel Cuneese in Piemonte. Si apprende che lì visse un sacerdote, don Giuseppe Barbero, che fu cappellano militare prigioniero proprio nello Stammlager VI D e che assistette spiritualmente gli ultimi istanti di vita di circa 500 prigionieri che morirono nei primi mesi del 1944. Solo circa 500 perché poi, dall’autunno alla fine del conflitto, il numero giornaliero di morti crebbe in modo esponenziale rendendo impossibile anche la sepoltura individuale.

Subito dopo il rientro della guerra, in occasione del Natale 1945, il sacerdote pubblicò un libro dal titolo "La croce tra i reticolati – Vicende di prigionia". Vi si descrissero l’infermerie di Dortmund, le mortalità spaventose lì avvenute, come morivano i prigionieri e con quale cadenza giornaliera. Scrisse: "Leggo nel mio diario: 22-23 marzo: 8 morti in questi due giorni. 25 marzo: vado al cimitero per le sepolture. 20 sepolture in questa settimana. Oggi 4 morti. 29 marzo: oggi 5 sepolture. 3 aprile: oggi al cimitero 11 sepolture. 5 aprile: oggi 3 moribondi contemporaneamente; corro dall’uno all’altro". Quel prete era riuscito a salvare il diario di prigionia!

Questo, in versione originale, mi venne gentilmente messo a disposizione insieme al restante archivio di don Giuseppe Barbero e questa è la sintetica conclusione:

Il quinto prigioniero deceduto nello Stammlager VI D di Dortmund era proprio Aldo Galanti, che ora sappiamo avere avuto un conforto spirituale negli ultimi istanti della sua breve vita. Don Barbero scrisse però erroneamente come luogo di nascita "Montegiordano" anziché "Montefiorino" e questo impedì, ultimo atto di una storia veramente sfortunata, la comunicazione di questa sua lettera ai genitori: "Da varie fonti avrete già saputo la disgrazia toccatavi. In questo tributo di sangue e di sofferenza che tutta l’umanità ha dovuto pagare, e quanto sangue ho visto scorrere nei Balcani, in Grecia, in Germania ed in Italia, il Signore nei suoi inperscrutabili disegni anche a voi domanda di accompagnare Lui e tante vittime innocenti nella via del Calvario e del dolore. Ma questo dolore, queste lacrime di sangue, il Cuore di Gesù le cambierà in torrenti di benedizioni e meriti se a lui le confidate. Per vari motivi non vi scrissi prima:

a) mi fu proibito dal comando tedesco, dicendomi che toccava a loro dare d’ufficio la comunicazione.

b) Non mi erano dati i moduli su cui potevo scrivere, essendo prigioniero. c) Pensando che il tempo avesse lenito il dolore non avrei avuto il coraggio di scrivervi subito, se pur l’avessi potuto.

Insieme con vostro figlio, più di 500 italiani ho visto morire nell’infame infermeria per i prigionieri a Dortmund. I medici, che gli hanno prestato tutte le cure possibili hanno fatto la diagnosi di enterite perché era loro proibito scrivere la vera diagnosi "morto per fame" come tutti 500, ed altre migliaia.

Morì vostro figlio il giorno 20 febbraio 1944 ed è sepolto nel cimitero principale di Dortmund campo Hauph Feld 10, n° di tomba 49. La sua morte rassegnata, dopo aver ricevuto tutti i Sacramenti, mi ha commosso intensamente, e sarà certo per voi di grande consolazione.

Per chi, in una un po’ ingenua ignoranza, domandasse cosa ne abbiamo fatto degli oggetti del loro congiunto rispondo: 1) in reiterate perquisizioni prima di arrivare in Grecia ed in Germania stessa, ci furono tolti oggetti di valore, vestiario e soprattutto denari. 2) Chi ne aveva ancora li vendeva per un po’ di pane per non morire di fame. 3) Alla morte di ogni prigioniero, il comando tedesco requisiva gli oggetti personali dicendo che provvedevano loro ad inviarlo alla famiglia. 4) Se a loro rimaneva qualche capo di arredo personale, lo si distribuiva agli altri Italiani mezzi ignudi, e tutti stracciati. Di quanto vi scrivo potete interrogare qualunque prigioniero tornato in Italia.

Per il vostro congiunto e per gli altri italiani spirati, celebrai quasi tutte le mie Messe in circa due anni di prigionia. Continuiamo a ricordare il vostro congiunto e domando la carità di una vostra preghiera e presento le mie sacerdotali, vivissime condoglianze e cordiali saluti.

Don Giuseppe Barbero".



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