Luna Blog

Il Blog de "la LUNA nuova" per condividere con voi in modo veloce e costante news, aggiornamenti e notizie varie, da Palagano e dintorni e permettere a tutti la fruizione dei nostri articoli e velocizzare lo scambio di notizie e contenuti. Stay tuned!

lunedì 6 giugno 2016

ELEZIONI AMMINISTRATIVE. FABIO BRAGLIA ELETTO SINDACO A PALAGANO, MAURIZIO PALADINI A MONTEFIORINO

Raggiunto e superato il quorum del 50% necessario per validare le elezioni comunali a Palagano (hanno votato il 61,48 % degli aventi diritto). Fabio Braglia viene così riconfermato Sindaco e si appresta ad iniziare il suo secondo mandato.
Con meno margine (55,29 %) superato il quorum anche a Montefiorino. Eletto sindaco Maurizio Paladini.






PALAGANO, ELEZIONI AMMINISTRATIVE 5 GIUGNO 2016 - SCRUTINIO DATI DEFINITIVI


Fonte: comune.palagano.mo.it
Sezione 1: Palagano
Sezione2: Boccassuolo
Sezione 3: Savoniero
Sezione 4: Costrignano
Sezione 5: Monchio




Fonte: comune.palagano.mo.it



Fonte: comune.palagano.mo.it





Fonte: interno.gov.it



ELEZIONI PRECEDENTI - 15 MAGGIO 2011

Fonte: interno.gov.it

mercoledì 1 giugno 2016

ELEZIONI AMMINISTRATIVE 5 GIUGNO 2016 - LISTA UNICA, QUORUM E COMMISSARIO


"PALAGANO PRESENTE"
è l'unica lista che si presenterà agli elettori palaganesi.
Il vero "avversario" è il Commissario prefettizio.





Quando alle elezioni amministrative comunali è presente un'unica lista, per poterla dichiarare vincente è necessario che venga raggiunto un quorum di votanti e voti. Il raggiungimento del quorum è previsto per evitare che un'esigua minoranza di elettori possa prendere decisioni riguardanti l'intera collettività.
Nelle elezioni del Sindaco e del Consiglio comunale nei comuni fino a 15.000 abitanti è necessario il raggiungimento di un duplice quorum: il numero dei votanti deve essere almeno 50 per cento degli aventi diritto più uno (quorum strutturale) e la lista deve aver riportato un numero di voti validi superiore al 50 per cento dei votanti (quorum funzionale).
Qualora non si siano raggiunte tali percentuali, l'elezione è nulla e il comune verrà amministrato da un Commissario prefettizio. Il Commissario ha il compito di amministrare l'Ente fino all'elezione del nuovo Consiglio e del nuovo Sindaco, da tenersi nel primo turno elettorale utile previsto dalla legge. Il commissario esercita le attribuzioni conferitegli con il decreto di nomina; normalmente unisce in sé tutti i poteri degli organi del comune: Sindaco, Giunta e Consiglio. In virtù di tali poteri può compiere qualunque atto, sia di ordinaria che di straordinaria amministrazione; tuttavia, non dovendo rispondere agli elettori, difficilmente assume decisioni di portata strategica.


Pubblicato su la Luna nuova - Maggio 2016 - num 48

Link
Sito ufficiale della lista Palagano presente: www.palaganopresente.it

PALAGANO COSA TI E' SUCCESSO?


Riflessione triste di un elettore




Davide Bettuzzi


Fortunato Palagano!
Le cose devono andare proprio bene se i cittadini del paese, "patria di geni e cervelli fini", come scrisse il poeta, hanno presentato una sola lista alle elezioni comunali. Tutti contenti e grati a tal punto che, in massa, "sicuramente" voteranno la compagine capeggiata dal sindaco uscente. Nessuno, proprio nessuno, ha sentito il bisogno di partecipare alle elezioni ed offrire una alternativa, una proposta diversa.
Dev'essere proprio così, perché un conto è trovarsi alle elezioni con un'unica lista, come potrebbe succedere a Montefiorino, causa l'esclusione dell'altra da parte della Commissione elettorale; altro discorso è avere proprio una sola lista, punto e basta.
Quindi tutto bene. Nessuno si lamenti e avanti così!
Invece no, non va bene.
Intanto perché è difficile pensare che l'amministrazione uscente abbia ottenuto un apprezzamento così alto dalla totalità dei cittadini, evento più inverosimile che improbabile. è evidente, infatti, che una parte della popolazione non ha apprezzato, in parte o del tutto, l'operato degli ultimi amministratori.
Inoltre va detto che l'infallibilità non è una dote comune e un controllo da parte di chi deve esercitare il delicato e difficile ruolo di minoranza è quantomeno auspicabile.
Può anche essere che qualcuno preferisca il commissariamento alla rappresentanza popolare. Opinione da rispettare come tutte, ma, permettetemi di dire, qualche perplessità la solleva.
Però, la grande tristezza che mi prende deriva dal fatto che una popolazione che fondamentalmente sta bene, è istruita, è capace di esprimere le proprie opinioni, in un paese libero dove si possono votare i propri rappresentanti o anche mettersi, per un periodo della propria vita al servizio della collettività, non sia stata capace di esprimere, con i meccanismi della democrazia, la propria pluralità politica, pluralità che, se sfruttata e utilizzata con coerenza, onestà e intelligenza, diventa complementarietà e forza positiva a vantaggio di tutta la collettività.
Allora sì che si sarebbe potuto dire: "tutto bene!".



Pubblicato su la Luna nuova - Maggio 2016 - num 48

MALEDETTE MALELINGUE


Di Martina Galvani

Sarebbe troppo complesso cercare una spiegazione esaustiva al perché della menzogna; si correrebbe il rischio di affastellare l’una sull’altra facili spiegazioni e fornire così soluzioni a buon mercato, godibili o risibili a seconda delle inclinazioni e delle sensibilità. Non cercherò dunque di risolvere problemi che vanno al di là delle mie possibilità, né tantomeno di ritrarmi in spazi protetti da cui guardare con disprezzo quel prodotto umano che è la bugia, ma solamente proverò a parlarne e, in particolar modo, a narrare l’epilogo di una manciata fresca di calunnie, che, tuttavia, si sono presto dissolte nel nulla.
È perlomeno antropologicamente interessante, infatti, osservare come nelle piccole comunità una notizia un po’ originale (ma neanche troppo) si diffonda tanto velocemente e «come una freccia dall’arco scocca e vola veloce di bocca in bocca» - per citare un cantautore a caso. Motivo di ancor più ampio interesse è poi il fatto che la “notizia” in questione fosse pure menzognera.
Mi riferisco - così scopriamo qualche carta - alla generosa donazione fatta da un cittadino palaganese in favore della nostra parrocchia. Forse non c’è niente di nuovo che io debba spiegare perché, se la tesi è corretta, tutti sanno già tutto. Proverò soltanto a guardare di nuovo l’episodio, certamente per mettere al corrente i più “distratti”, ma soprattutto per dare alla questione un po’ di dignità, stampigliandola a chiare lettere su un pezzo di carta.
La donazione suddetta, secondo le voci più disparate, era misteriosamente scomparsa. L’occasione che aveva fatto nascere il sospetto (o direi piuttosto la convinzione) era scaturita dalla comunicazione sincera del parroco che, a fine anno, si era preoccupato di fornire al paese un quadro chiaro del bilancio parrocchiale.
Come poteva conciliarsi un bilancio in difetto con quell’ingente donazione? Questa incongruenza aveva scatenato ragionamenti complessi e articolati, degni dei nostri beneamati protagonisti della celebre Palaganeide e l’arcano era stato presto risolto: sicuramente qualcuno aveva fatto incetta del denaro! Si vociferava. Straccio di vesti e indignazione, chi all’interno della parrocchia poteva essere il colpevole di tale ladrocinio?! Non mi addentrerò nelle ipotesi avanzate, che ovviamente rimangono fumose, ma posso svelare il finale. In verità, il generoso cittadino palaganese desidera che la somma da lui donata alla Chiesa non sia spesa finché lui sarà a questo mondo.
La soluzione del “mistero” è stata offerta dal parroco che, in pubblica sede, ovvero al termine della Santa Messa, ha fatto ancora una volta chiarezza. Ha spiegato ai presenti che la donazione c’è ed è intatta, ma rimarrà ferma lì dov’è secondo la volontà del suo donatore; ha poi rinnovato l’invito a partecipare attivamente all’amministrazione dei beni della nostra parrocchia, perché il consiglio economico pastorale è aperto a chiunque voglia farne parte.
Questo genere di storie non dovrebbe portare con sé un grande stupore. Episodi antichi e sempre nuovi, che al nocciolo duro della menzogna aggiungono soltanto, di volta in volta, nuove vesti e nuovi colori: episodi che ancora allieteranno le conversazioni dei più “attenti” alle vicende di paese e di nuovo saranno protagonisti di secondi, minuti e ore di tutti noi. Mi esprimo con apparente leggerezza e cercando di evitare il giudizio non perché mossa da triste rassegnazione, né da morbida tolleranza, ma solamente perché credo che dall’accettazione del limite si origini la tensione a più alti ideali.





INTERVISTA A FABIO CURTO



Di Francesco Dignatici e Daniele Bettuzzi



Ciao Fabio, bentornato...Buongiorno a tutti.

Non abbiamo domande preparate. A parte la prima, a nome della Redazione. è di quelle più impertinenti però, dopo sarà tutto in discesa… Vai!

Hai talento, ma anche umiltà. Sei un animale da palco e lo hai dimostrato. Hai pure la faccia giusta, ma non solo: hai dimostrato un legame speciale con Palagano.
Detto questo, mi spieghi che cavolo ci azzecca la cittadinanza onoraria?
[Ride di gusto] Non lo so è venuta “un po’ così”. Fin dal mio primo disco [Stelle, Rospi e Farfalloni, uscito nel 2013, nda], un po’ per scherzo ed un po’ no, è cominciato questo “scambio” affettuoso e simpatico con il paese di Palagano. Poi gli spostamenti qui sono diventati anche più frequenti. Ricordo che, appena vinto “The Voice”, mi sono fiondato a Palagano. Avevo bisogno di un nido, di un rifugio. La Calabria era troppo distante. Nello spazio sì, ma anche a causa di un certo “focolaio” acceso che avevo laggiù e che avrebbe rischiato di scottarmi. Ho pensato subito al vostro paese ed alla sua magnifica accoglienza. Poi è scattata pure questa “gag” della cittadinanza onoraria. Non dimentichiamo poi il “carretto” che mi ha caricato e mi ha portato in giro per il paese, proprio all’indomani della vittoria. Un Apecar, con carretto stile dopoguerra ed un conducente con scritto “tigella” sulla maglietta. Io ed il mio amico Giovanni Braglia sul carretto. Rimarrà nella storia, era da una vita che sognavo una roba così.

Come hai cominciato a suonare?A quattro anni. Mio zio mi porta un’armonica a bocca presa alla Fiera della Madonna del Pettoruto, in provincia di Cosenza. Avevo una canzoncina in testa, quella classica “del cowboy” [l’accenna con la chitarra, è “O Susanna” per intenderci, nda]. Prendo l’armonica e capisco: quello che avevo in testa lo riuscivo a suonare. In realtà non è che l’ho capito, l’ho fatto e basta.

Poi hai cominciato ad esprimerti in maniera più consapevole…Sì, col pianoforte. A 5 anni mi hanno iscritto a pianoforte, anche se io volevo fare arti marziali. Avrei potuto diventare un pugile, evidentemente.

Fai ancora il pugile?
Meni le persone?
No, almeno… non lo faccio se non mi fanno incazzare [risate].

Okay, dicevi del pianoforte…Studiavo, un po’ di malavoglia… e leggevo gli spartiti, ma non è che mi piacesse tantissimo. O meglio, facevo finta di leggerli. In realtà arrivavo alla lezione con la musica già tutta in testa e me la cavavo così.

E poi le prime composizioni...Sì, a 7 – 8 anni. Non erano composizioni vere e proprie, ma delle variazioni su pezzi di musica leggera. Le prime composizioni vere e proprie arrivarono quando avevo 11 anni.

Ti porti dietro qualcosa di quelle prime composizioni oppure le consideri oggi troppo ingenue?No, non le considero per niente troppo ingenue. A 13 anni scrissi “Composizione N° 2”, la quale, dopo quasi 15 anni, è diventata una canzone dal titolo Underwater world [ce la accenna con voce e dolce arpeggio sulla chitarra].
Alcuni spunti erano già decisamente maturi e credo di portarmi dietro tanto di quella roba.

Successivamente sei passato alla chitarra che, a differenza del pianoforte, puoi portartela in giro… perlomeno col pianoforte è più complicato!Sì, suonavo in strada. Non è che ci vivevo, come si è inventato qualcuno. Ci suonavo. Per anni è stata la mia professione, al cento per cento. Fu a partire dai 23 anni, appena conseguita la laurea in Scienze Politiche, e durò almeno fino ai 27. Dopo l’Università mi feci Est Europa, Spagna… è stato tutto, è stata una scuola vera e propria, un corso di specializzazione. Inizi, non sai che cazzo stai facendo. Poi superi quella fase, superi l’imbarazzo, capisci che è quello che ti piace. Poi arrivano le risposte positive dalle persone ed il cuore ti si riempie: anche loro pensano che tu stia facendo la cosa giusta. Superi le leggi del caso e dell’imprevedibilità che vogliono che, magari, al lunedì ti becchi cento euro ed al martedì zero. Entri in pace con l’Universo, semplicemente perché l’idea di svegliarsi e fare quello che ti piace è la cosa più bella che ci sia.

Tra il pianoforte ed il giro per l’Europa… ci siamo dimenticati di qualcosa?Sì. Per un periodo suonavo il basso e componevo per una band black metal. [Prima dell’intervista, Fabio aveva imbracciato il basso, suonandolo notevolmente bene, nda]. Fu dai 14 ai 17 anni.

Come fa uno col “cuore sanguinante” per il cantautorato e per la grande scuola del Rock ad appassionarsi al metal? Personalmente mi ha sempre fatto schifo. Non è che non lo rispetti. Semplicemente non ce la faccio… ma forse è un mio limite…Mi piaceva tantissimo.

Qual è il tuo approccio compositivo?  Prima testo o musica?Considera che la musica è soprattutto suono. Il cantautorato, soprattutto, ha innalzato l’importanza del testo. Ma la musica in sè va oltre, esiste e vale già per sè.
Se sei un cantautore e ti trovi bene a partire dal testo, nessuno te lo vieta, vai avanti così. Per me, però, il Dio è la musica. Le parole vengono dopo.

Forse si potrebbe aggiungere che tutta la musica Rock o comunque tutta quella che puoi sentire o hai potuto sentire alla radio da cinquant’ anni a questa parte, dai Led Zeppelin a Bob Dylan o agli Stones o chessò… agli Oasis, per farti qualche esempio… tutto quello che è arrivato alle grandi masse è soprattutto cuore ed istinto prima che filosofia ed intellettualità. Mi sbaglio?Non ti sbagli, è così. A me arriva il suono, il “tribale”, il tamburo… i cori senza senso che magari non dicono nulla di elevato a livello letterario. è un po’ lo stesso meccanismo per cui ti ritrovi in Piazza Maggiore [Bologna, nda] …giri la testa ed un gruppo sta suonando Smoke on the water. Non sai perché, ma quel riff lì ti dà energia, ti rimette in piedi… sono vibrazioni, che ti entrano nelle ossa e ti cacciano fuori una forma di benessere. Non sai perché.

La parte migliore della musica è inspiegabile…Assolutamente inspiegabile ed è bello che sia così.

Pensa ad esempio a Vasco o ad altri cantautori. Va detto che, rispetto ad altri “colleghi”, sei anche un vero musicista: chitarra, piano, basso, violino, cori. Tutto sembra venirti istintivamente da Dio…Se voglio farti sentire… chessò… dolcemente malinconico, ad esempio, attraverso una musica che ho in testa, credo di poterlo fare in dieci secondi. Ben più difficile mi sarebbe, nello stesso lasso di tempo, cacciarti fuori quattro parole con un bel significato.
La musica è immediata, non serve chiedersi un bel niente per poterne godere.

Facciamo un esperimento: diventiamo dolcemente malinconici in dieci secondi…[Parte un giro con chitarra arpeggiata, in SI minore, gli vado dietro… ]
Esperimento riuscito. Ora sono triste [risate].

Come la chiamiamo?“Dieci secondi di tristezza in Si minore”.

Che mi dici del violino? Quando è arrivato?è arrivato in un periodo pazzo. Nel 2009 venimmo a suonare a Savoniero con un gruppo chiamato "ètant Donnès", facevamo pezzi nostri, un progetto meraviglioso secondo me. In quell’occasione sedevo alla batteria e cantavo. Tipo Phil Collins.

Molto anti-estetica come abbinata…Molto anti-estetica. Nessuno capiva dove fosse il cantante. Ma mi destreggiai. Il violino arrivò subito dopo. Me lo regalarono al compleanno e montai le corde al contrario. Tra l’altro custano nu sac e sord… poi qualcuno mi ha detto: “A 21 anni non puoi iniziare a suonare il violino. E’ troppo tardi”. Meno male che me lo hanno detto. Nonostante questo, da lì ad un paio d’anni mettemmo su un progetto in cui suonavo il violino: "La Van Guardia". Gran bel progetto.

Poi il tuo primo album solista, Stelle, rospi e farfalloni...Ci fu questo momento della mia vita in cui stavo incidendo l’album d’esordio de "La Van Guardia" (omonimo) e durante lo stesso periodo cominciai le registrazioni per Stelle, rospi e farfalloni. Fu un esperimento, effettivamente non avevo mai scritto pezzi in italiano cantautorali.

Benché io parli da ascoltatore piuttosto ignorante nell’ambito dei cantautori, posso dirti che ascoltai per la prima volta quel disco un paio di anni fa e ricordo di avere subito pensato: ”Caspita, questo è vero talento, chissà se sono in molti a conoscerlo…”   Ti ringrazio.

Ci sono uno o più brani di quell’album a cui ti senti legato particolarmente?Sono molto legato a Il Rospo innamorato. Ha la carica emotiva e la sofferenza tipiche di un addio, con una descrizione molto dolce.
Quanto conta la Calabria in quello che scrivi? Cosa pensi della tua terra?
Conta tantissimo. Lo Scultore Omero, nel primo album, è un sunto della mia infanzia nella mia terra. La Calabria è una terra combattuta fra sentimenti profondissimi di rispetto, arte, poesia spontanea e delinquenza. Certa gente ha rovinato tanto di ciò che avevamo di bello. 'Ndrangheta, di questo sto parlando e di nient’altro. Guadagni incalcolabili e la propria “sede” principale all’interno di una delle regioni più povere d’Europa. Il luogo in cui sono nato io mi ricorda un po’ Palagano, in un certo senso. Si trova in montagna, peraltro, a circa settecento metri di altitudine. Mi lego alle cose belle, sia delle persone che dei luoghi. Ho questo approccio e credo di non dire cazzate su questo: se anche della mia terra ci sono cose che fanno schifo e magari sono pure di più di quelle che mi piacciono, io ricordo quelle che mi piacciono. Non dirò mai che la mia terra fa schifo. Non si può passare la vita a cercare di limare le cose e le persone affinché rientrino nei nostri ideali; vorrebbe dire sprecare tutto il nostro tempo.

Prima di proseguire con la tua storia del dopo - “Stelle” …mi incuriosiva una cosa: cosa ascolti di musica straniera?Tasto un po’ particolare. Prendo alcuni “capitoli” o dettagli ben precisi dai vari artisti, senza avere magari interesse sull’intera discografia. Prendi i Deep Purple, ad esempio: per me sono made in Japan, punto. Tutto Nebraska di Springsteen, certamente, ed il suo legame con The ghost of Tom Joad; ci trovo un mondo dentro. Poi i Creedence Clearwater Revival, avevano tutto: blues, rock and roll, gospel… tanta rabbia… ed un cantante fenomenale; in loro c’è tutto quel bisogno di amore mischiato con la rabbia e la potenza del rock. Mi ci riconosco anche io in questo.

E dei cantautori italiani cosa mi dici?Sono legato ed affezionato a 10-15 pezzi di De Andrè; mi piace poi il primo Branduardi, con quell’atmosfera da “elfo nel bosco incantato”. Non avevo mai ascoltato Fossati fino a che non mi hanno detto che, quando canto in italiano, ricordo molto lui; stessa cosa mi è successa con il cantato in inglese ed Eddie Vedder.

E’ arrivato il momento: dimmi di The Voice. Come ti hanno scelto all’inizio?
Detto sinceramente: nelle preselezioni mi sarei scelto. è qualcosa legato al fatto che oramai nove cantanti su dieci suonano uguali come voce. Inoltre io avevo esigenza di farla sentire, la mia voce.
Non era un hobby. Tante persone dicevano che per me cantare era come parlare. Non subivo la mediazione di una particolare tecnica vocale o di una qualche pre-impostazione sull’approccio al palcoscenico. Oggi ti insegnano addirittura a simulare il pathos; non va bene, così siamo alla morte artistica.

E dopo come funziona durante il periodo delle trasmissioni televisive? E’ davvero tutto preparato?Si prepara tutto al dettaglio, dai tempi televisivi non si sfugge. Non posso però lamentarmi, in un certo senso: le scelte avevano sempre la mia partecipazione.

Che impressione hai avuto sul “motore” principale di The Voice?
Badano alla musica o vince la ricerca degli ascolti?
Sempre prima gli ascolti, è la regola della TV. Sempre e comunque.

Raccontami il momento della tua bella vittoria…E' stata un bel terremoto. E subito dopo non c’era tempo da perdere, si doveva uscire subito con un singolo… o cose così. Ricevevo migliaia di chiamate al giorno e non riuscivo a mettermi in contatto con la mia discografica, che avrebbe dovuto darmi indicazioni.
Fui un po’ travolto da tutto questo “ignoto”, almeno all’inizio. Per quanto riguarda le ragioni della mia vittoria, va detto che una bella differenza l’ha fatta il bacino di voti dell’Italia del centro e del sud. Roma è stata una “roccaforte”. La Calabria pure ha risposto bene.

Come ti sentivi dopo la vittoria?Ancora più semplice di prima. Anche perché ho capito che la semplicità mi ha premiato, non ho dovuto inventarmi niente, mi è bastato continuare a fare quello che stavo già facendo.

Il primo singolo partorito in seno a The Voice è stato L’ultimo Esame. Cosa cambia rispetto ai tuoi lavori precedenti?  Cambia che con quel singolo dovevamo creare un certo tipo di prodotto, che si adattasse a chi poteva interessarsi della trasmissione e votarmi.

Qualitativamente parlando, come consideri L’ultimo Esame? Ti dirò che L’ultimo Esame, nel suo genere di pop rock con vena cantautorale, lo considero un lavoro molto ben fatto. è altresì chiaro che, se tu lo collocassi in un contesto underground, piuttosto che punk o non so cos’altro, “stonerebbe” un po’.
Comunque a me piace davvero tanta musica diversa. Non mi dispiacerebbe per nulla fare un intero concerto sullo stile de L’ultimo Esame, purché si suoni bene.

Lo Scultore Omero lo consideri fra i tuoi migliori pezzi, se non il migliore. Perché non si poteva proporlo a The Voice?Non avrebbe avuto il tempo materiale di raggiungere le persone. Il testo va ascoltato due o tre volte, almeno credo. A The Voice avevi novanta secondi in cui ficcare una strofa ed un ritornello.

Si può dire che le tue migliori cose, a livello qualitativo, non siano adatte al grande pubblico?Sì, si può dire, almeno per quanto riguarda il Fabio Curto solista. Già "La Van Guardia" ad esempio, è sempre roba di nicchia se vuoi, ma si tratta di una nicchia più “allargata”.

Secondo te, l’Italia di oggi è pronta ad accogliere musica di qualità?No.

Pensi che oggi la qualità venga premiata in ambito musicale?No.

Chi è che “conta”? La gente? Le radio?Già nel momento immediatamente successivo a The Voice mi sono accorto presto che il pubblico, la gente, conta poco. Se una certa radio nazionale vuole imporre qualcosa, il “peso” della gente è davvero poca roba.

Ti seguo. Secondo me però, al di là di una qualsivoglia volontà oscura da parte delle radio (“Money, so they say…”) che forse c’è sempre stata, c’è stato pure un tempo in cui qualità ed accessibilità al “grande pubblico” andavano a braccetto. Vale a dire: gli Zeppelin, ad esempio, hanno venduto tantissimo… però erano anche piuttosto “bravini”. Ora non funziona così. Perché?In generale sono d’accordo con te. Il mainstream è questo, in Italia in particolare. Va pure detto che la qualità tecnica e di esecuzione è comunque elevata. Arrangiamenti raffinati, produttori in gamba. Però immagina di ascoltare quelle stesse canzoni solo chitarra e voce: se ne accorgerebbe anche un bambino che la qualità è scarsa. L’underground italiano invece, che sfugge da questa logica, lo trovo molto interessante.

Fossimo in Inghilterra, cambierebbe qualcosa?Qualcosa sì, credo proprio di sì.

Abbandoniamo la divagazione ed atteniamoci alla cronologia: è cambiato il tuo modo di vivere durante questo ultimo anno? Beh, mi sono capitate quelle cose un po’ “classiche”, sai… mille telefonate, la gente che mi ferma per strada…  Lavorativamente ho avuto qualche bella opportunità dopo The Voice. Ho fatto anche un bel po’ di date da solo, direi ventotto in un anno. In generale, ho avuto qualche bella soddisfazione. Ecco, chi pensa che io sia diventato ricco si sbaglia non di poco, ma di grosso! Intendiamoci, vivo dignitosamente di musica, di musica soltanto e direi che me la cavo un po’ meglio rispetto a prima.

E i 150.000 euro della vittoria?A me personalmente nessuno ha staccato un assegno e ci tengo parecchio a precisarlo. Alla luce del regolamento, si tratterebbe di soldi che finiscono “in un contratto discografico”. Ma lasciamo stare…

Hai cominciato a beccare più donne rispetto a prima?Dal punto di vista amoroso sono andato “controcorrente”: mi sono fidanzato con una ragazza della quale sono innamoratissimo.

Direi che è il momento di dedicarle una canzone.
L’hai già composta per lei?
Ovviamente. Si chiama Song for Rebecca.
[Ce la canta tutta. Manco a dirlo… è un gran pezzo]
“Affogato nel suo amore”… ”La ragione per cui canto”… Beh, sei bello cotto…
[Ride] Esatto….

Concludiamo con un pensiero al concerto di stasera qui a Palagano.
Sei carico? Che tipo di concerto sarà?
Sarà speciale anche perché ci sarà tanta gente che mi ha sostenuto in questo ultimo anno. A Palagano mi sento completamente a casa. Quindi suonare stasera non è un impegno, è una bella “rimpatriata”.
Sarà uno spettacolo acustico, ma con qualche arricchimento che ho pre-registrato sulla mia loop station: sezioni di archi, bassi elettrici, cori ed altra roba.

Bella roba. Grazie davvero Fabio. Ora sentiti libero di sparare una cazzata conclusiva a ruota libera…Grazie per l’intervista nella stanzina-studio de la LUNA nuova e grazie per la bella atmosfera.

“Bluesettino” finale in Mi e poi andiamo a pranzo, ok?Bene. One, two, three, four…


Vedi l'articolo completo
Pubblicato su la Luna nuova - Maggio 2016 - num 48

CORRIDOI UMANITARI



Di Laura Bettuzzi


29 febbraio 2016. L’arrivo a Roma dei primi 93 profughi siriani, provenienti da alcuni campi del Libano, ha dato concretamente inizio ad un progetto ecumenico che permetterà a mille persone di essere accolte in Italia grazie ad un'idea proposta dalla Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia, dalla Comunità di Sant’Egidio e dalla Tavola valdese.
Dopo un assiduo lavoro di negoziazione con le autorità italiane e straniere preposte, è stato aperto questo primo "corridoio umanitario" dal Libano che consente a profughi, in condizioni di particolare vulnerabilità, di entrare in Italia su un volo di linea grazie ad un "visto umanitario".
La base giuridica di questa iniziativa si fonda sull'art. 25 del Regolamento (CE) n.810/2009 del 13 luglio 2009 relativo al Codice comunitario dei visti e prevede la possibilità di concedere visti, previsti in via ordinaria dal codice frontiere Schengen, "per motivi umanitari o di interesse nazionale o in virtù di obblighi internazionali". A questo scopo, la Federazine delle Chiese Evangeliche in Italia (FCEI), Sant'Egidio e la Tavola valdese da una parte, e i Ministeri degli Affari Esteri e dell'Interno dall'altra, hanno sottoscritto il 15 dicembre 2015 un protocollo, il quale prevede una collaborazione con le ambasciate italiane in Marocco e in Libano, e presto anche in Etiopia. I beneficiari dei corridoi umanitari, una volta arrivati per vie legali e sicure sul territorio italiano, possono avanzare richiesta di asilo e sono presi in carico dal coordinamento accoglienza FCEI-MH (Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia-Mediterranean Hope).
Le prime famiglie arrivate in Italia sono ora ospitate in varie città italiane, anche vicine a noi, come Reggio Emilia, Brescello, Novellara e San Michele.
"Operazione Colomba" fa parte della Comunità Papa Giovanni XXIII, fondata da don Oreste Benzi, opera in varie nazioni (Albania, Colombia, Palestina, Libano, Italia) come Corpo Nonviolento di Pace ed è presente da anni in un campo profughi nel nord del Libano, dal quale provengono 22 (12 bambini, tra i quali Khaled, nato poche settimane fa a Reggio Emilia, e 10 adulti) delle 93 persone accolte il 29 febbraio.
A sostenere la loro accoglienza qui sono le parrocchie, che hanno dato disponibilità di appartamenti/canoniche e la Caritas reggiana che coordina gli aiuti e si fa carico delle necessità di queste famiglie.
Ogni giorno immagini, video e testimonianze tentano forse di fare informazione su ciò che sta succedendo a pochi chilometri da noi; ogni giorno discorsi, pareri e valutazioni tentano forse di risolvere quello che sta succedendo a pochi chilometri da noi; ogni giorno parliamo, dibattiamo e analizziamo tentando forse di avere un’opinione su ciò che sta succedendo a pochi chilometri da noi. Proprio da questo “interrogarsi”, che ognuno di noi fa ogni giorno davanti alla televisione, è nato nelle menti di gente come noi il progetto dei corridoi umanitari. Progetto che, contro ogni aspettativa, è diventato realtà ed offre a mille persone come noi, ma nate con una fortuna diversa, di salvarsi. Ed offre, a noi, la possibilità di aiutarli. Presto arriveranno altre persone, e tante altre sono ancora in attesa di comunità, parrocchie, organizzazioni che si prendano a cuore le loro situazioni.
Gente come noi, di Palagano, cosa farà?




Vedi l'articolo completo

Pubblicato su la Luna nuova - Maggio 2016 - num 48

GLI ASSALTI ALLA ROCCA DI MONTEFIORINO - 25 NOVEMBRE 1429 E 7 GIUGNO 1944



Di Aldo Magnoni

Dapprima  nel 1429, o come sostiene il Bucciardi, nel 1426, toccò al potente casato dei Montecuccoli, feudatari in gran parte dell’Appennino modenese, essere cacciati per sempre dalle valli del Dolo e del Dragone ottenendo dagli Estensi la promessa, sempre mantenuta fino all’avvento napoleonico, che quella terra non sarebbe mai più stata infeudata.
Venne poi la più recente storia della seconda guerra mondiale che vide questa volta salire prepotentemente in Rocca i nazifascisti, che in quello stabile vi elessero un potente presidio. Ma ancora una volta i nostri padri, nell’estate del 1944, diedero nuovamente assalto a quel castello medievale dando poi vita alla prima Repubblica partigiana d’Italia. Interessanti documenti descrivono questi due famosi eventi.
Il primo è la cronaca “Memorie Istoriche del Frignano” scritte nel 1664 dal Notaio Alessio Magnani che valendosi  verosimilmente dell’archivio della famiglia Montecuccoli, al servizio della quale operò appunto come Notaro, ci descrive in modo particolarmente dettagliato non solo le cause che determinarono l’assalto in quella mattina del 25 novembre 1429, ma anche i capifamiglia che organizzarono la sommossa e le circostanze della fuga dei feudatari.
Il secondo invece narra, attraverso un manoscritto inedito del mio archivio,  le vicende di un analogo attacco che, a distanza di oltre cinque secoli dal precedente in esame, vede la cacciata da Montefiorino dei nazifascisti.  Quest’ultimo raccoglie la testimonianza del  giovane studente universitario milanese, Guido Campagnol (mio suocero, deceduto prematuramente nel 1974) catapultato casualmente dopo l’8 settembre, al pari di tanti altri giovani, nei nostri monti ad intraprendere la vita partigiana e tra i primissimi  a valicare l’ingresso della Rocca appena liberata.
La passione del giovane diciannovenne Guido per la fotografia e per la pittura traspare a tratti nelle parti del voluminoso manoscritto: “Difficoltà inenarrabili” come lui stesso le titola, combattimenti, ritirate, rapporti con la popolazione locale e, soprattutto, la descrizione minuziosa dei componenti del suo gruppo di ribelli, insieme alla straordinaria descrizione di come trovò i locali appena abbandonati dai nazifascisti.


LA CACCIATA DEI MONTECUCCOLI
(Venerdì 25 novembre 1429, oppure lunedì 25 novembre 1426)
"...Haveva Messer Andrea Fogliani da Reggio Podestà di Montefiorino per Nicolò et Alberguccio signori di quella giurisditione uno prigione per nome Cristoforo da Rovallo reo di un delitto molto grave, da cui essendo stato posto al tormento, et per non havere a confessare, tagliatasi la lingua essendo morto di spasimo, quei di Montefiorino come mal soddisfatti per certe imposte fatte loro da questi Signori, per lo che havevano fatto ricorso, et cavato provisioni dal Marchese, vogliosi di cose nuove, et havendo per capi di tutti quegl’altri i Casini et i Magnoni da Vetriola parenti di quel tale da Rovalo morto in prigione, havendone prima passato doglianza in absenza loro con Madonna Catterina Malaspina moglie di Nicolò con dirgli che forsi se ne potriano pelar la barba, la mattina di Santa Catterina cioè il 25 di Novembre del 1429 nell’aprire della porta del castello, et nel mutare le guardie forsi anco elle complici del tradimento, entrando impetuosamente con armi alla mano, con alte voci et parole ingiuriose scacciandone l’infelice Signora con tutta la famiglia senza rispetto veruno con mettere ogni cosa a sacco, si che ella hebbe appena tempo di fuggire alla meglio od alla peggio che potè, e con Pietro e Guglielmino suoi figlioli fanciulli scalzi e malvestiti fuggendo per le rive scoscese et dolente si ritirò di qua dal Dragone, ricoverandosi in casa di quei della Torre di Susano 2 miglia lontane, e con gran fatica e prieghi ottenne dai sollevati di Montefiorino il proprio letto, e ritirandosi insieme con Nicolò suo marito, et Alberguccio il cognato si ben trattato dalla fortuna e dalla amorevolezza del Marchese lor Signore complice del fatto, et in estremo alla Pieve di Polinago".

LA CACCIATA DEI NAZIFASCISTI
(Sabato 17 giugno 1944)

Così relaziona Davide (Osvaldo Poppi) sull’attività al 30 giugno: “In quei giorni si iniziò l’assedio di Montefiorino di nostre forze composte dai distaccamenti Fontana e Barbolini (sassolesi) e dal distaccamento Balin.
Interrotto l’acquedotto, le linee della corrente elettrica e il telefono, la guarnigione fascista restò priva di acqua e luce, senza carne e grassi e ogni giorno e notte i nostri posti di blocco colpirono i militi che si recavano ad attingere acqua alle fontane fuori dell’abitato.
Un’uguale opera di disturbo si compiva nei confronti del presidio di Frassinoro…”
Da frammenti del manoscritto di Guido Campagnol l’arrivo in Val Dragone: "Di buon mattino mi si avvertì che avrei raggiunto la formazione che mi era stata destinata; era quella comandata da Giovanùn. Era un ragazzo sui vent’anni, nato e vissuto su quei monti, deciso e rispettoso. Si notava in lui la preoccupazione che lo faceva più uomo; forse mai nella sua vita aveva avuto tanta responsabilità. Quando io giunsi si trovava in postazione con una squadra d’una ventina di uomini.
La descrizione di Ultimio Pagani e Cesario Palandri: "Con me avevo un ragazzo detto 'il mitragliere' appunto perché sparava con detta arma. Era un ragazzo coraggioso, strano ragazzo però: quasi sempre serio, assai di frequente si arrabbiava per cose da nulla, però era pronto a fingere di sorridere quando lo si obbediva. Aveva lineamenti belli, ma feroci; mi dava l’aspetto di un soldato romano.
L’altra formazione era comandata da un altro ragazzo di non più di 22 anni. Pure lui era dei luoghi e come l’altro lui pure dotato di una buona dose di coraggio. Aveva nome Ultimio [Ultimio Pagani, recentemente scomparso. N.d.A.]; ricciuto, con baffetti ben curati e un viso olivastro. Un regista  l’avrebbe preso per raffigurare un corsaro di mare. Dalla sua bocca, sempre in atteggiamento di sorriso, spiccavano i denti bianchi in contrasto con l’impeccabile camicia rossa, che i primi giorni non abbandonava mai.
Il comandante era Balin [Cesario Palandri, n.d.A.], un ragazzo onnipresente. Aveva 20 anni, non più alto di 1,65 con capelli ondulati e basette bionde molto lunghe. Su questi monti le sue basette avrebbero potuto passare alla storia, come in Francia lo fu per la cravatta alla Valliere. Per molti giorni non lo vidi mai ridere. Doveva essere molto preoccupato: era il 'refugium peccatorum' e credo non avesse nemmeno il tempo per respirare. Vestiva sempre in modi diversi e non so dove andasse a finire tutta la roba che cambiava. Forse, anzi deve essere così, lui abitava vicino e quindi più di molti poteva tenersi pulito. Solo una volta mi capitò non solo di vederlo ridere, ma di scherzare molto allegramente. Eravamo a riposare in un fienile. In quel giorno doveva aver sentito i suoi vent’anni che mal si adattavano a tutta quella serietà e responsabilità. Rise con molta spensieratezza, gettando dell’acqua a un compagno che dormiva. E poi, con l’aria più sorniona lo ascoltava imprecare. Nessuno, tra i non presenti, avrebbe supposto che fosse stato il serio Balin e, anzi, fu lui stesso a confessarlo". La presa della Rocca: "Aspettavo Balin. Tutti l’aspettavano; eravamo tutti ansiosi di udire la sua voce che avrebbe dato l’ordine per l’attacco definitivo a Montefiorino.
Entrai in Rocca. Uno spettacolo desolante mi si presentò innanzi. Nel cortile prospicente la porta vi era una tavola con sopra avanzi di carne di mulo cruda. Il pozzo servì loro per trafugare munizioni ma, più che altro, le posero dentro per inquinare l’acqua. Tutt’intorno era un cumulo di immondizie. A destra, sempre al piano terreno, stava una stanza ingombra di armi di ogni sorta e di vestiario militare. In un’altra stanza una tavola imbandita era coperta di avanzi. Al piano superiore un fetore imparagonabile avvolgeva i locali; qua e là sedie rovesciate, rimasugli di vivande. Nelle camere, letti sconvolti ostacolavano il passo. In terra un numero incalcolabile di bossoli da moschetto e da mitragliatore.
Più giù, nelle camerate della truppa, brande e coperte abbandonate nel caos. Avvolto da una decina di coperte trovammo un ragazzo di diciott’anni che dalla paura aveva preferito aspettare che lo raggiungessimo noi".


Pubblicato su la Luna nuova - Maggio 2016 - num 48

IN VIAGGIO



Ugo Beneventi


Otto dicembre: festa del’’Immacolata Concezione.
Personalmente ho scoperto l’importanza liturgica di questa festa solamente nel 1945, anno del mio ingresso nel Seminario di Fiumalbo. Ho ancora viva, stampata nella mente, la magia di quella giornata solenne; soprattutto la visione della Cappella. Non mi è mai sfuggita la data  dell’otto dicembre. Ovunque io fossi, il mio pensiero correva lassù, al raccoglimento di quel piccolo luogo, grato alla Vergine Immacolata, per le emozioni vissute in quella “specialissima giornata”.
Vedo ancora la statua della Vergine venirmi incontro, in un tripudio di luci sfolgoranti, avvolta in una ghirlanda di gigli purissimi e profumati, tanto da far sembrare dicembre, allora lassù mese veramente di ghiaccio e di palle di neve, il maggio delle rose.
“Palle di neve”: in quanto c’era in giardino un alberello, ben visibile dalla chiesa, che fioriva in dicembre, e i suoi fiori li chiamavamo, appunto: “palle di neve”.
Ricordo che per accedere alla cappella bisognava passare dalla sacrestia, mentre i celebranti  indossavano i paramenti per la Messa solenne. Il colore era il bianco: candido come la neve, e simbolo di purezza e di castità dei sacerdoti. Immagini e sensazioni che non mi lasceranno più.
Sulle loro facce era dipinta la gioia che, essi, si scambiavano a vicenda, coll’augurale saluto del: “Prosit”.
Allora il Seminario era pieno di Sacerdoti: Don Medardo, Don Renzo, Don Antonio, Don Dante e tanti, tanti altri. Io non avevo mai assistito ad una cerimonia così pomposa; non vi ero assolutamente preparato. Non sapevo nemmeno che in quel giorno si consegnasse la veste talare agli alunni di quarta ginnasiale, motivo per cui, in quel giorno, si aggiungeva festa alla festa. La cappella straripava di parenti, venuti da ogni dove per assistere alla vestizione dei loro “pretini” e qualcuno sognava già, in cuor suo, future cerimonie di consacrazione a Vescovi e Cardinali dei loro figlioli.
Dentro di me, invece, bollivano  e ribollivano assieme gioia e solitudine. Io c’ero, ma avevo la sensazione di trovarmi lì per puro caso; erano cose che a me non riguardavano: nessuno si curava di me. Ricordi che affiorano, oggi, alla mia memoria, vedendo Papa Francesco che porta i “barboni” di Roma, lavati e ben sbarbati, in visita alla Cappella Sistina, seguita da pranzo “papale”. Tuttavia sentivo, o almeno così mi sembrava, che la Vergine mi fosse ugualmente vicina, e ciò mi permetteva di inserirmi e gustarmi la festa.
Avevo, tra l’altro, escogitato un escamotage: oltre che Madre di Dio, consideravo la Madonna come amica; come la... “mia fidanzata”, così non avevo più bisogno di intermediari. L’avevo idealizzata al massimo grado, come solamente sanno fare i ragazzi lasciati a se stessi. Mi comportavo come fa il bambino con la mamma, quando le dice che le vuole bene e che da grande... “la vuole sposare”.
Penso che, vedendomi così mentalmente “indaffarato”, la Vergine Benedetta sorridesse benigna di questo bamboccio “ingarbugliato”, come farebbe ogni mamma di questo mondo.
Fin qui la mia storia. Una piccola storia da tre soldi, per un verso insignificante e brutta, per altro aspetto, invece, “meravigliosa” e ben riuscita: me la sono cavata. Avrei voluto fare il prete, avrei voluto avere “un pulpito tutto mio”, ma questo è un altro discorso...
Dopo una guerra disastrosa che aveva devastato l’anima di grandi e piccini, ho vissuto quel periodo del seminario come un sogno, un meraviglioso sogno di normalità, ma c’era sempre qualcosa che mi ricordava che normale non ero. Mi si diceva che, per fare il prete, avrei avuto bisogno di una dispensa speciale del Papa, ma allora il Papa, anche per un seminarista, era un’entità astratta. Sul trono di Pietro sedeva il principe Eugenio Pacelli; nulla di più lontano dalla gente; fermo ancora al bacio della pantofola.
Da allora è come se fossero passati secoli; sotto i ponti del Tevere è transitata parecchia acqua. Intanto la mia vita ha proseguito il suo cammino ed anch’io sono arrivato al rush finale. Ho riempito la mia vita con la famiglia, il lavoro, un po’ di politica e il sindacato. Mi resta da percorrere il tratto più impegnativo, ma non mi spaventa; mi sento al sicuro, in buona compagnia. Mi porto ancora nel cuore la Vergine Maria: l’Immacolata, quella di “Fiumalbo”, della quale il mio animo è ancora innamorato, e con la guida del più grande Papa degli ultimi diciotto secoli di storia della Chiesa, la mia vita, nell’Anno Santo della Misericordia, non può che finire bene ed avere un senso pieno. Per dirla con S. Paolo: “Ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede”. Il resto...
Mi proietto nel futuro per mano a Francesco e, al suo fianco, tutte le distanze si  accorciano ed i pesi si fanno più leggeri. Anche uno della mia... stirpe, con lui vicino, forse, avrebbe potuto fare il prete.
Oggi, 18 dicembre 2015, ho seguito alla televisione la cerimonia di apertura della Porta Santa presso l’Ostello della Caritas a Roma, ed ho ascoltato la sua omelia. "Dio" - ha detto - "si trova nell’umiltà, negli ultimi. Non saranno gli onori né i soldi ad aprirci le porte del cielo, bensì la carità verso gli ultimi".
Ha citato le parole del Vangelo:  "Avevo fame e mi avete dato da mangiare, avevo sete e mi avete dato da bere...", alle quali mi permetto di aggiungere: “Ero sporco, sudicio e maleodorante e mi avete soccorso con la doccia calda e ristoratrice; avevo la barba lunga, incolta, e pidocchiosa e mi avete fornito gratis il barbiere; ero disperato e mi avete restituito un po’ di dignità; ero solo e mi avete fatto compagnia”.
è su queste cose che saremo chiamati a giudizio.
Ho anche letto, in questi giorni, per l’ennesima volta, “I Fratelli Karamazov” di Dostoevskij, ed il mio pensiero è andato all’interrogatorio, da parte del Grande Inquisitore, al “Disturbatore” silente del romanzo: "Perché sei venuto a disturbarci?" - gli chiede, rabbioso, il grande Inquisitore, il Cardinal “Torquemada” -  "Sei venuto infatti a disturbarci, lo sai anche tu", gli ribadisce stizzoso, l’iroso porporato.
Ho ascoltato alla televisione, non molto tempo fa, alcuni di questi...”disturbati” paludati di rosso, dire che non potrebbero di certo rinunciare ai loro “appartamentini”, ai loro libri... Dove li metterebbero? Ascoltandoli, mi sono convinto che se anche tornasse in Vaticano Gesù Cristo in persona, ci sarebbe sempre qualcuno che non esiterebbe un istante a farlo arrestare e a scomunicarlo “Ipso facto”.
Disturbare la privacy delle loro Eminenze; ficcare il naso nel loro segreto bancario, è estremamente pericoloso: ai farisei di tutti i tempi e di tutti i luoghi non è mai piaciuto stare sotto i riflettori; essere esposti troppo a lungo alla luce. La luce li disturba, fa male ai loro occhi. Non per nulla, parecchi di loro, portano pesanti occhiali neri. Torquemada non è morto del tutto. Ancora una volta urla in faccia al povero Cristo il suo: "Taci... Non potresti aggiungere altro a ciò che dicesti allora". Anzi! "Domani stesso ti condannerò e ti farò ardere sul rogo, come il peggiore degli eretici".
Essere “pezzi grossi”, magari di Santa Romana Chiesa alla stregua del grande inquisitore spagnolo, non è garanzia assoluta di sapienza divina. Per imparare a conoscere Gesù Cristo non è necessaria una ben fornita biblioteca di libri preziosi; basta il Vangelo. A dissipare la matassa, facciamoci aiutare da Matteo: “Gesù prese a dire: "Io ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e agli intelligenti, e le hai rivelate ai piccoli. Sì, Padre, perché così ti è piaciuto" (Mt. 11,25-26).
Il nostro è un Dio, dice Bergoglio, che scompagina i piani dei potenti. "Sì, Padre, perché così ti è piaciuto" e...”più non dimandare”.
Non c’era posto per Lui in albergo nemmeno quando nacque, figuriamoci se possono ospitarlo oggi nei sacri palazzi apostolici, assieme a Vescovi, Arcivescovi e Cardinali! Tanto più che tra poco sarà Natale; commemoreremo la nascita del Bambino, quello vero. Con un personaggio così ingombrante tra i piedi, mica potrebbero far finta di piangere su di una mangiatoia d’oro e d’argento, calzando le pantofole rosso porpora da cerimonie solenni. Non scherziamo!
Degli otto Papi della mia vita, incominciando da Pio XI, seguito a ruota da Pio XII, giù, giù fino a Francesco, di tutti costoro il “Disturbatore” è lui: il Papa dalle scarpe “contadine”, “chiamato dalla fine del mondo per essere il Vescovo di Roma”. 
In quella sera e con tre semplici parole ha compiuto la più grande rivoluzione degli ultimi diciotto secoli di storia della Chiesa. Sono: "Buona sera. Sono il nuovo Vescovo di Roma. Pregate per me".
Quanti problemi di fede e di vita ha appianato! Quante strade ha raddrizzato! Anche gli atei gli stanno dedicando un’attenzione ed un ascolto del tutto particolari ed insperati. Usa parole semplici, alla portata di tutti.  Ogni domenica augura a chi l’ascolta: "Buona domenica e buon pranzo"; a conferma che non vi può essere “mens sana in corpore sano”, senza adeguato nutrimento.
I poveri di Roma lo adorano, perché tutti sono invitati alla sua mensa. La sua anima è sincera e generosa e lo si nota specialmente quando dice: "Come vorrei una Chiesa povera e per i poveri". Lo ha dimostrato andando in uno dei paesi più poveri dell’Africa ad aprire la prima Porta Santa del Giubileo della Misericordia. Ha fatto di Bangui, la capitale della Repubblica del Centro Africa, per un giorno, la Capitale mondiale della Cristianità. Con una semplice domanda ha tirato fuori dalla melma (ex stercore), in cui li avevano relegati i ...benpensanti, i gay: "Chi sono io per giudicare i gay?":lui, il Papa!
Era urgente riparare in quanto, senza “riconciliazione”, non si va da nessuna parte. Ecco perché ringrazio Dio per avermi dato la gioia di essere un contemporaneo di Papa Francesco, al cui seguito varcare la Porta Santa del Giubileo, da lui indetto. Senza perdono reciproco, per i figli di Eva, non c’è Salvezza.
In lui l’umanità ha ritrovato un padre, come io ho ritrovato il mio, che tanto mi è mancato. Ora, mano nella mano, ci incamminiamo assieme per le vie del cielo incontro alla pace del cuore (vedi S. Agostino).
Un cuore in pace con se stesso e con Dio è un cuore “capace di tutto”. Capace addirittura di perdonare anche i torti più grandi e dolorosi; capace persino di chiedere perdono, come fa Bergoglio stesso. Questa si chiama Grazia; è Misericordia di Dio: "è inutile aprire le porte sante di tutte le cattedrali del mondo, se non si apre la porta del cuore all’amore" (il Papa ai suoi Cardinali).
Non crediate che  umiliarsi davanti a chi hai offeso sia facile. Chi è capace di farlo non è un debole. Solamente i forti sanno chiedere perdono. San Paolo, scrivendo ai Romani del suo tempo, per non scandalizzare i deboli, li esortava così: "Noi che siamo i forti abbiamo il dovere di sopportare l’infermità dei deboli".
Questo ultimo tratto della mia esistenza terrena, in compagnia di Francesco, è diventato una piacevole “passeggiata” verso la Speranza. Speranza che riesca a “restaurare la sua Chiesa”; che, dopo di lui, ci sia una lunga serie di “Francesco” che riportino la Chiesa ad essere la “Chiesa povera e per i poveri”. è quella “e” che mi fa ben sperare; mi fa capire la grandezza di cuore del nostro Papa, di questo Vescovo di Roma. Con quella semplice “e”, con quella piccola vocale, pone gli ultimi della terra sullo stesso piano di tutti i cristiani del mondo. Ritaglia per loro un posto di primo piano nella Chiesa Cattolica.
Nel mondo ci sono troppi poveri! Ciò significa che, fin qui, qualcosa non ha funzionato. Chi avrebbe dovuto stare sempre, dovunque, e comunque al loro fianco, troppe volte si è schierato con Epulone, contro di loro.
Che le ricchezze di questo mondo appartengano a Satana, lo dice Matteo nel suo Vangelo: "Tutte queste cose (i regni della terra) io ti darò" - dice Satana a Gesù - "se gettandoti ai miei piedi mi adorerai", ma che sia una parte “alta” della gerarchia a stare al suo gioco, è troppo!
Mi permetto un desiderio: "Quanto vorrei anch'io una Gerarchia povera e per i poveri!", in linea con quanto affermano una cinquantina di Padri conciliari del Vaticano II, in un documento che va sotto il titolo di: “Patto della Catacombe”.
Vorrei che si attuassero al più presto almeno un paio di riforme qualificanti che, tra l’altro, non costano nemmeno un soldo: via i titoli costantiniani dalla Chiesa: Eccellenze, Eminenze, Monsignori, ed il Cardinalato. Cosa centra il Cardinalato con Gesù Cristo? Mica era un’Eminenza! 
Le riforme sono quanto mai urgenti, e Francesco ne è consapevole. Non ripetiamo gli errori del passato. Basta dare un’occhiata alla storia della Chiesa per capire che, se il Papa del tempo di Lutero fosse stato un po’ più sollecito nell’attuare certe riforme, forse, quello scisma si sarebbe potuto evitare.
Ma le riforme più difficili sono proprio quelle che non costano nulla. Penso sia così per tutte le religioni del mondo. Oggi, però, siamo in tempi di Ecumene, tempo di confronto e di osservazione reciproca, specialmente tra le tre religioni monoteistiche del mondo: Mussulmani, Ebrei e Cristiani. E se vogliamo smussare gli angoli per trovare un terreno comune per un culto di vera Latria da tributare all’Unico Dio, Vivo e Vero, che le tre religioni monoteistiche adorano, ognuno deve rinunciare a qualcosa. Cominciamo con quelle cose che non comportano implicazioni dottrinali: via i titoli onorifici per i cattolici; libertà per le donne, in casa mussulmana. Con i figli di Israele mi piacerebbe che si parlasse un po’ di più dell’Ebreo Gesù di Nazareth.
Tra cadute e resurrezioni, il mio andare per i deserti della vita termina qui. Spero di non avere sperperato del tutto il patrimonio di talenti, di cui ogni uomo viene dotato fin dall’inizio del suo peregrinare sulla terra.
Alla fine spero nell’intervento della Immacolata di... Fiumalbo: " Entra (pure tu) nella gioia del tuo Signore".




Pubblicato su la Luna nuova - Maggio 2016 - num 48



TRE ASSEMBLEE PER IMITARE GESU'. GEOVA E I LORO FEDELI

.
Romano Salaroli
Testimoni di Geova Appennino modenese
Ufficio Stampa


Molti cercano di imitare personaggi famosi o importanti, mentre altri, saggiamente, prendono come esempio Gesù, Dio e persone loro fedeli vissute nel corso dei millenni.
La serie delle tre assemblee dei Testimoni di Geova dell’Appennino e del Comprensorio Ceramiche fra l’estate 2015 e la primavera 2016 prende in esame questi tre fondamentali aspetti.
Il congresso tenuto in estate aveva come tema “Imitiamo Gesù”. In armonia con le parole della Prima Lettera di Pietro (2:21), Cristo ha lasciato un modello e i suoi seguaci devono seguire attentamente le sue orme nei pensieri e nei comportamenti. Sono stati usati vari e interessanti modi di insegnare: discorsi, foto, video e rappresentazioni sceniche. I presenti hanno compreso come applicare gli insegnamenti di Gesù a loro stessi, nella famiglia e nella comunità.
La seconda assemblea è stata organizzata il 7 novembre scorso. Aveva come tema “Imitiamo Geova! – Efesini 5:1”. In questo versetto, la Parola di Dio invita a divenire “Imitatori di Dio come figli diletti”. Il programma ha fatto riflettere sulle tante qualità di Dio come giustizia, saggezza, capacità di perdonare e imparzialità; ha mostrato come imitarle in pensieri, azioni e nei rapporti con altri. E’ stato spiegato anche Efesini 5:2 che consiglia di “continuare a camminare nell’amore”, la principale qualità di Dio.
Il 24 aprile 2016 i Testimoni modenesi e reggiani si sono ritrovati nella Sala delle Assemblee di Imola per completare la serie con il terzo incontro. E' stato sviluppato il tema “Imitiamo la loro fede”, tratto dalla Lettera agli Ebrei 13:7, dove la Parola di Dio invita a imitare la condotta di persone fedeli a Dio e a Cristo.
Il programma ha evidenziato eccellenti esempi biblici di uomini, donne e giovani che hanno mostrato straordinaria fiducia nelle promesse di Dio. Le relazioni hanno spiegato come e perché è bene imitarli. E' stato messo in evidenza che anche nei nostri giorni ci sono notevoli esempi di fedeli a Dio e che pure alcuni giovani possono divenire modelli degni di essere seguiti. Il programma ha fatto notare i benefici fisici, mentali, emotivi e spirituali che derivano da buoni comportamenti.
Come a tutte le riunioni tenute localmente dai Testimoni a Palagano, anche a queste grandi assemblee l’ingresso è gratuito e tutti sono benvenuti.
Informazioni nel sito ufficiale www.jw.org e alla mail aresal1@tin.it




Pubblicato su la Luna nuova - Maggio 2016 - num 48

AMBIENTALISMO



Di Francesco Discienza

Un principio fondamentale è quello di riconoscere, come proprio, la tutela dell’inalienabile diritto di ogni individuo, ad un’equa ripartizione delle risorse del nostro pianeta, nonché il dovere morale di ognuno di noi di garantire ai nostri simili, non solo contemporanei, ma anche futuri, la disponibilità di un capitale di risorse non inferiore a quello di cui la presente generazione può godere.
Per “risorse” si intendono non soltanto i beni economici, cioè quelli riconosciuti storicamente come scarsi (la terra, i suoi prodotti, i beni del sottosuolo, i mezzi di produzione e i capitali monetari), ma anche gli spazi vitali e i beni fino  ad oggi considerati non economici, perché considerati non scarsi (l’aria, l’acqua dei mari e dei laghi, gli animali e i vegetali).
Si considera altresì “risorsa” di interesse universale, e quindi da tutelare per questa e per le future generazioni, il patrimonio culturale  accumulato nel corso dei secoli da tutte le popolazioni della terra, a qualsiasi stadio di evoluzione esse si trovino o si siano trovate, in tutti i campi dello scibile umano. Infine, ma non ultima, si considera “risorsa” di interesse universale “il tempo” che deve essere disponibile a tutti in eguale misura, non solo per sopravvivere materialmente, ma per sopravvivere nel senso più pieno del termine, per partecipare con pieno diritto alle comuni scelte sociali, per crescere e realizzarsi nella propria umanità, secondo finalità e disegni da ciascuno liberamente scelti, ma perseguiti nel rispetto degli analoghi diritti dei propri simili ( la mia libertà finisce quando….). Si può ritenere che le risposte sociali sinora disponibili siano seriamente inadeguate a garantire l’equa ripartizione delle “risorse” nello spazio e nel tempo sopra auspicata, tanto più in presenza di un processo di crescita esponenziale (leggere il 29° giorno di Lestre Brawn) quale oggi ci troviamo a fronteggiare e che siano anzi in atto seri processi degenerativi tali da compromettere conquiste già consolidate, per lo meno in talune parti del globo: tra queste “la salute” e “l’equilibrio psico-fisico” degli individui nelle società industrializzate.
Riconosciuta la centralità e l’urgenza di questi problemi, ci si propone di dare un contributo alla loro soluzione, impegnandosi:
1) Ad approfondire lo studio delle problematiche relative alla salute ed all’ambiente, in tutte le loro implicazioni e livello sia locale che globale;
2) A divulgare le conoscenze acquisite nel modo più esauriente e nelle forme più consone a renderle accessibili e utilizzabili da tutti, indipendentemente dalla preparazione culturale, ciò nella consapevolezza che l’universalità dell’informazione è una premessa indispensabile alla realizzazione di una società realmente democratica e che, in questo campo, soprattutto per quanto riguarda i problemi della salute e dell’ambiente, esistono gravissime carenze;
3) Promuovere tutte quelle iniziative, sia a livello locale che generale, atte alla salvaguardia ed al miglioramento della salute e dell’ambiente.
Su questa terra c'è la certezza che esiste in abbondanza tutto il necessario per soddisfare le nostre esigenze; quello che invece non esiste è la possibilità di esaudire l'avidità che c'è in ognuno di noi.
Per questo non può essere proponibile nessun altro metodo se non quello che ci porta al recupero dell'originario equilibrio energetico spirituale dell'individuo, arginare la confusione derivante dal decadimento degli equilibri generali.
Quello attuale è un momento di paradossi: ovunque si hanno dimostrazioni di prove di ingegno e di ispirazioni molto importanti nel campo delle scienze, della cultura in generale, dell’arte, della medicina, ma anche di “evidente ignoranza e di idiozia”: da una parte possediamo delle risorse scientifiche estremamente importanti, dall’altra milioni di persone muoiono di fame o di guerre fratricide. Possediamo opportunità senza precedenti, ma siamo anche di fronte a minacce senza precedenti.                                 
P.S.
Possiamo confrontare le differenze fra ecologia e ecologismo, la prima è una scienza, la seconda è un’ideologia. Nella vita sono necessarie sia l’una che l’altra: entrambe servono per una civile convivenza.




RIFLESSIONI





Il generale Dwight D. Eisenhower quando arrivò con i propri uomini presso i campi di concentramento non ebbe il minimo dubbio. Ordinò che fosse scattato il maggior numero di fotografie alle fosse comuni dove giacevano ossa, abiti, corpi scomposti scheletrici ammassati come piramidi casuali. Fotografie per ogni gelida baracca che fungeva da dormitorio, fotografie al filo spinato, ai forni crematori, alle divise, ai cappellini, alle torri di controllo, alle armi, agli strumenti di tortura.
Fotografie ai sopravvissuti così vicini alla morte da poterci interloquire e restituirla a chiunque li fissasse senza dover nemmeno aprire bocca. Senza parlare, senza parole.
Eisenhower pretese che fossero condotti presso i campi di concentramento tutti gli abitanti tedeschi delle vicine città per vedere la realtà dei fatti e che, suddetti civili, fossero costretti a sotterrare i corpi dei morti.
E poi spiegò: “Che si abbia il massimo della documentazione possibile – che siano registrazioni filmate, fotografie, testimonianze – perché arriverà un giorno in cui qualche idiota si alzerà e dirà che tutto questo non è mai successo”.



Pubblicato su la Luna nuova - Maggio 2016 - num 48

PUBBLICATO IL NUMERO DI MAGGIO 2016