Luna Blog

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martedì 28 aprile 2015

La “Palaganeide” letta e analizzata da Erika Baschieri

Ancora una volta un lavoro di ricerca mosso dall’interesse per la storia e la cultura del nostro Appennino. La tesi di Erika Baschieri, intitolata “La Palaganeide: tra letteratura e cultura popolare”, indaga e analizza quel poemetto “dedicato” al nostro «bel paese» e ai suoi «cervelli fini», scritto da Gaetano Nizzi (1873-1917) tra la fine del ‘800 ed i primi ‘900. Non solo ne mostra la struttura e i contenuti, ma tenta anche un confronto tematico con la celebre opera tassoniana, La Secchia rapita; utilizza infine il lascito letterario di Nizzi per una ricostruzione storico-culturale del contesto in cui il testo si sviluppa.
L’allora giovane parroco di Rotari - piccola frazione nei pressi di Fiumalbo - descrive le vicende dei palaganesi, attingendo alle storie di paese nonché alla propria fantasia. In sei canti, che compaiono periodicamente sul giornale Pierpaolo, narra dell’ingenuità di quei montanari-eroi che cercano a Livorno l’intelletto e decidono di fabbricarsi la grande luna che desiderano. Stravolgendo il genere epico e cavalleresco, Tanino mostra una combriccola di “astuti” paesani che accompagnano il lettore in una serie di vicissitudini e sventure; caricature o maschere di “tipici” personaggi di paese, che vengono dipinti con goliardia benevola. La solennità della narrazione epica viene abbassata attraverso particolari grotteschi o fuori luogo. Ma non c’è alcun disprezzo nell’utilizzo di elementi volutamente esagerati e carnevaleschi, piuttosto la comicità si trasforma in una modalità di riflessione su tematiche di ampia profondità, come la vita, la condizione umana e la morte. Viene dato ampio spazio ad elementi concreti e materiali - ad esempio riferimenti a particolari corporei e alle sue funzioni più sconvenienti - che abbassano il tono del racconto, ma che solo apparentemente mancano di rispetto alla dimensione più alta dello spirito umano. Facendo riferimento alle opere e alla poetica di Rabelais, Erika nota infatti come l’utilizzo di immagini materiali ineriscano ad un determinato stile letterario; questo tipo di linguaggio permette di conquistare una più ampia confidenza con la natura umana e con il mondo, partendo dal basso. In linea con tale specifica modalità di indagare l’uomo e il reale, il focus del lavoro si sposta su uno degli episodi più conosciuti del poemetto, descritto nel primo canto: la perdita della testa del saggio Barba Gianni che, alla ricerca del giudizio con alcuni compari, si cala in pendio scosceso e viene decapitato da un lupo. Anche in questo caso il particolare macabro è un modo di esorcizzare, attraverso il riso, la paura suscitata dalla difficoltà di comprendere l’esistenza e la morte.
Nizzi impiega poi molti elementi significativi, ampliamente utilizzati nella storia della letteratura: l’asino, simbolo antico di umiltà e docilità, ma anche di stupidità e mancanza di intelletto, presente già nella Bibbia e poi ripreso da Apuleio, Collodi e dai fratelli Grimm; la luna, tradizionalmente simbolo di follia, del cambiamento, ma anche della femminilità e infine il tema del viaggio e della ricerca, “filo rosso” che lega i diversi episodi tra di loro.
Il lavoro di Erika prosegue con un approfondimento storico-culturale del contesto in cui l’opera fu scritta e si conclude con un’indagine su ciò che rimane di questi racconti, non solo nella bibliografia esistente, ma anche nella vita del nostro paese. Dalla tradizionale Festa dei Matti - che si riferisce goliardicamente all’immagine che Tanino creò degli eroici palaganesi - al periodo di scherzi ideati dalla combriccola della S.E.G.A. che si sono susseguiti negli anni novanta, dando così testimonianza dell’astuzia leggendaria ereditata, in qualche modo, da Barba Gianni, Marietta, Bortolino e dai suoi.



lunedì 27 aprile 2015

PALAGANO: INIZIATI I LAVORI DI COSTRUZIONE DELLA NUOVA PALESTRA




Dopo l'acquisizione delle aree, l'impresa PI.CA. di Nonantola (MO) ha ufficialmente iniziato i lavori di costruzione della nuova palestra comunale presso il centro Papa Giovanni XXIII.
Di seguito riportiamo alcune informazioni, provenienti dal sito web del Comune di Palagano, che specificano le caratteristiche della nuova palestra.

"L'edificio in progetto è costituito da un'unica sala da gioco (impianto sportivo al chiuso con spazio di attività sportiva polivalente), di circa 960 mq. utili e di altezza netta minima sotto trave sui campi di gioco di 8.00 ml, in grado di ospitare:

ATTIVITA' AGONISTICA DI PALLAVOLO
disponendo di:
• campo regolamentare di ml 9x18, con fascia laterale minima di 3 ml. lungo le direttrici maggiori del campo e di 5 ml. lungo le direttrici minori, ed altezza netta minima sull'area di gioco di ml. 8,00, per incontri (compresi campionati nazionali) di Serie B1, B2, C, D, 1^, 2^, 3^ Divisione, ed allenamenti Serie A1, A2 (v. estratto di Regolamento FIPAV).

ATTIVITA' ALLENAMENTO E AVVIAMENTO PALLAVOLO
disponendo di:
• 2 campi regolamentari di ml 9x18, con fascia laterale minima di 2 ml. lungo il perimetro dei campi, ed altezza netta media sull'area di gioco di circa ml. 8,00, per allenamento di ogni serie e corsi (v. estratto di Regolamento FIPAV).

ATTIVITA' AGONISTICA DI BASKET SERIE A e SERIE MINORI
disponendo di:
• campo regolamentare di dimensioni ml. 15x28, con fascia laterale minima di 2 ml. lungo tutto il perimetro del campo ed altezza netta sull'area di gioco di circa ml. 8,00, per incontri (compresi campionati nazionali) di serie A e serie minori (v. Regolamento F.I.B.A.).

ATTIVITA' AGONISTICA DI CALCIO a 5 (calcetto, dimensioni minime)
disponendo di:
• campo regolamentare di ml 15x25 (dimensioni minime), con fascia laterale minimo di 1 ml. (campo per destinazione) lungo tutto il perimetro, idoneo per gare anche nazionali fino alla serie C (v. estratto di Regolamento I.F.A.B. – F.I.G.C)."



domenica 26 aprile 2015

Un Uomo senza sangue muore, no?


Come spesso accadeva, mi ritrovavo quasi frastornato, in silenzio,  ad osservare il tramonto, seduto su quella vecchia panchina arrugginita. Tra sogni e balzi nella realtà non comprendevo se il sole fosse alla sua nascita o alla sua morte. Non comprendevo se io ero alla mia nascita o alla mia morte.

Dondolavo lentamente i piedi nel vuoto. Se qualcuno avesse potuto essere lì con me in quel momento avrebbe certamente detto che ero tranquillo ed esprimo serenità. Ne sono convinto. Chi non associa il cadenzato dondolare dei piedi nel vuoto a una sensazione di gioia?

Abbozzavo un sorriso ironico, forse un po’ falso; stringevo il bordo della panchina, mentre mi divertivo a stendere i gomiti di entrambe le braccia facendo leva sui palmi delle mani, per vedere quanto potessi estenderli. Mi sentivo soddisfatto. Sì.

Se qualcuno avesse potuto essere lì, avrebbe certamente detto che ero soddisfatto. La mia espressione era inequivocabile.

 

Sentii proprio allora uno sfrido accarezzarmi l’orecchio destro. Rimasi fermo. Avevo paura a girarmi. Magari era solo stata uno scherzo del vento.

Dopo pochi attimi successe nuovamente, ma questa volta mi si accapponò la pelle.

Pareva quasi che qualcuno avesse graffiato con le unghie su di uno specchio proprio di fianco al mio orecchio.

Era certamente qualcuno che lottava. C’era una guerra in atto. Lo specchio era andato in mille frantumi. Io sentivo la pelle d’oca.  In sottofondo poi pareva quasi emergere un lamento. Di quelli da adulto. Di quelli di cui se ne sentono pochi. Era un lamento acido, a voce bassa, un po’ rosso a dir la verità, sebbene se avessi dovuto descriverlo a terzi l’avrei certamente descritto come grigio.

 

Qualche istante dopo, il silenzio. Non una mosca volare. L’unico rumore che in realtà mi creava piacere era l’incalzante muoversi dei miei piedi.

Passò un istante in cui mi sentii al sicuro. Esatto: un istante. L’istante dopo sentii una mano appoggiarsi sulla mia spalla destra. Non mi voltai. Ma la pressione non pareva essere tanto energica, non c’era di che avere paura.

Al mio orecchio fu sussurrato qualcosa. Era una voce animalesca, quasi roca. Non badai molto alle parole, ricordo solo che un attimo dopo ero al suolo. Scaraventato.

Sapevo che non avrei dovuto permettergli di lasciarmi la mano sulla spalla.

Tentai di rialzarmi, ma mi ri-colpì all’addome con un calcio prima, e con una ginocchiata poi. Non ero in grado di parlare, né tanto meno di rialzarmi.

Il colpo successivo mi fu sferrato al volto.

Ero inerme.

Mi risvegliai con una mano sulla spalla. Era la stessa mano che si era appoggiata a me qualche tempo prima. Feci per allontanarla immediatamente, ma ancor prima di poterla sfiorare fui colpito al volto dalla mano stessa.

Era la fine. Non riuscivo più a reagire. Restavo a terra sanguinante.

Un uomo senza sangue muore , no?

 

-No.-

 

Un uomo che crea castelli illusori composti da mura di pensieri e da portoni senza chiave muore.

Un uomo muore quando per paura di perdere tutto ciò che ha avuto fino a quel momento, decide di non saltare, decide di guardare il cielo a braccia conserte, decide che il buio della propria ombra sia il posto più sicuro in cui stare, decide di fermarsi. Un uomo muore quando decide che il meglio ci sia già stato, e quando a decidere per lui sono gli altri.

Un uomo non muore quando viene colpito al volto. Muore quando viene colpito alle gambe. Muore quando viene colpito alle ginocchia. Muore quando anziché alzarsi decide di stare seduto.

Muore quando arriva a non desiderare. Muore quando è ossessionato dal giudizio degli altri, ma non di quello che lui ha di se stesso. Muore quando tra cento volti, sceglie di guardarne uno solo. Muore quando sceglie di non scegliere. Muore quando ha gli occhi sbarrati e le labbra asciutte. Muore quando preferisce l’artificio alla natura. Muore quando preferisce la certezza all’incertezza.


Io continuavo a dondolare i mei piedi sulla panchina con aria soddisfatta.
 

L’uomo non è immortale, ma è in grado di sopravvivere alla morte.