Luna Blog

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lunedì 3 novembre 2014

LICEO DI PALAGANO: AVANTI TUTTA



Grazie alla statalizzazione (per ora delle prime due classi) il liceo rimarrà aperto, vivo e, finalmente, proiettato verso il futuro.

Di Andrea Fratti


“Per arrivare all’alba non c’è altra via che la notte”: per capire la buia estate della scuola di Palagano, partiamo da una citazione, che rende bene l’idea di quanto accaduto ultimamente. Sono serviti, infatti, mesi di grandi patimenti, rincorse, voci contrastanti ed importanti decisioni, perchè Settembre si aprisse con importanti risposte e, soprattutto, con alcune fondamentali certezze, che ci permettono di fare il punto sulla situazione del Liceo ‘Maria Immacolata’.
Cercando di fugare ogni dubbio, riportiamo sinteticamente quanto è successo e, in modo particolare, quanto succederà alla nostra storica scuola paesana.
La notizia più rilevante è che il liceo locale rimarrà aperto, vivo e, finalmente, proiettato verso il futuro.
Questo rappresenta un traguardo miracoloso, soprattutto alla luce delle modalità e delle tempistiche in cui è stato raggiunto; si è trattato di un salvataggio vero e proprio, in cui le istituzioni hanno avuto un ruolo decisivo (dal Comune alla Regione). Senza entrare nel merito delle condizioni economiche dell’Istituto, della sua storia pregressa e della vicenda legata ai contributi cessati, basti sapere che, all’inizio di luglio, le possibilità concrete parevano essere: chiusura immediata o chiusura dopo l’ultimo anno scolastico garantito. Una prospettiva disarmante, soprattutto a fronte dell’importante rinnovamento degli ultimi anni, che ha portato ad un sostanziale incremento degli iscritti.
Dopo incontri, riunioni, progetti, richieste e preghiere, si è formato un fronte istituzionale deciso a preservare un istituto di riconosciuta qualità a livello nazionale, un pezzo di storia dei nostri paesi, un’opportunità d’oro per tutti i ragazzi ed anche un’azienda capace di muovere, ogni giorno, oltre un centinaio di persone, tra studenti, genitori, professori e dipendenti.
Questo recupero in extremis aprirà, ora, un nuovo ciclo: il Liceo, infatti, inizierà un percorso di statalizzazione, che, già dall’anno scolastico 2014-2015, coinvolgerà le classi prima e seconda. Quando le attuali terza, quarta e quinta concluderanno il loro iter nel ‘vecchio’ istituto paritario, la statalizzazione entrerà a regime completo, diventando pienamente sede distaccata dell’Istituto ‘A.F. Formiggini’.
Nel nuovo corso statalizzato, l’indirizzo scolastico sarà quello Economico-Sociale, con il mantenimento dell’insegnamento di due lingue straniere (inglese e spagnolo), oltre all’inserimento di un completamento di tedesco.
Non si sentirà più parlare di rette e di parità, con la speranza che, superato pure l’ostacolo economico, le famiglie locali possano valutare e riconoscere il valore di ciò che si trova a portata di mano, prima di cercare a km di distanza.
La Cooperativa Scolastica rimarrà viva, lavorando per condurre al diploma queste ultime tre classi paritarie e, contemporaneamente, per creare corsi pomeridiani, iniziative, attività culturali volte ad arricchire la formazione degli studenti, dando continuità al modo unico di accompagnare e seguire i ragazzi. Sostegno, vicinanza, interesse ed aiuto serviranno ancora (e forse ora più che mai), per far sì che questa transizione possa avvenire nel migliore dei modi, contribuendo affinchè il nuovo capitolo della storia della scuola (e dei nostri paesi) sia scritto fittamente e non corra più il rischio di aprirsi tra scarabocchi e pagine bianche.
Ecco, quindi, la cronaca sintetica di una fredda estate, vissuta con la celata speranza che “nessuna notte sia così lunga da impedire al sole di risorgere”… 


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PRIMA FESTA DEL GRANO




Una festa nata per uno scopo benefico: il ricavato è stato devoluto all'associazione S.C.I.L.L.A. e a suor Marry per la  missione in Paraguay


di Gabriele Monti

Il 9 e 10 agosto scorsi, si è svolta a Palagano la prima Festa del Grano. Nata da un’idea di Danilo Bertelli che ha coinvolto subito i volontari dell’associazione S.C.I.L.L.A., è iniziata lo scorso anno in ottobre con l’aratura di un campo messo a disposizione dal parroco don Carlo, quindi è seguita la semina e, nel mese di luglio di quest’anno, la mietitura con una “mietilega” degli anni Settanta (che non ha sbagliato una legata, con grande orgoglio di Danilo).
L’iniziativa ha poi trovato conclusione con la trebbiatura, allestita in uno spiazzo del paese cui faceva da naturale balcone l'area dell'oratorio Santa Chiara, da dove la gente poteva osservare tutte le operazioni di trebbiatura, imballaggio della paglia, raccolta del grano, a distanza di sicurezza e fuori dalla polvere che sempre accompagna queste operazioni.
Il grano dopo essere stato trebbiato, veniva trasportato con i muli di Bruno  in una piazzetta dell’oratorio dove era pesato con il “basco”, mondato con la “mundadura” (macchina di circa cento anni, rigorosamente mandata a mano); quindi macinato con un mulino a pietra e infine veniva fatto il pane. Ecco spiegato il titolo della festa: si è percorso tutto l’itinerario del grano dalla semina al prodotto finale che troviamo sulla nostra tavola tutti i giorni.
Bisogna dire che l’iniziativa è stata molto apprezzata, parecchi genitori hanno ringraziato per aver fatto vedere e capire ai propri figli da dove proviene il pane, che non si materializza dal nulla, ma che è il risultato di un lungo procedimento dove entra in ballo l’uomo, la natura e la tecnologia.
Questa festa è nata per uno scopo benefico, il ricavato infatti verrà devoluto alla S.C.I.L.L.A. e a suor Marry per la sua missione in Paraguay. Voglio sottolineare la grande e pronta risposta da parte di tutti coloro ai quali è stato chiesto di dare una mano, non faccio nomi perché rischierei di dimenticare qualcuno, lo si farà in altra sede, ma un grazie è doveroso a tutti. Come si è detto, è la prima festa del grano ed è stata la prima volta per tutti a cominciare dagli organizzatori, che non avevano mai lavorato insieme, dal gruppo impegnato a preparare i pasti in locali dove non avevano mai lavorato. Qualche intoppo c’è stato, era la prima volta, il prossimo anno, memori degli errori, cercheremo di fare meglio. Ancora un grazie a tutti.
 

MONCHIO, 18 MARZO 1944. UNA RILETTURA DELLA STRAGE ATTRAVERSO LE FONTI CINEMATOGRAFICHE E LE FONTI ORALI


Con la sua tesi, Monchio, 18 marzo 1944. Una rilettura della strage attraverso le fonti cinematografiche e le fonti orali, Giulia Grossi si sofferma sull'indagine di quelle drammatiche vicende che, durante uno dei periodi più complessi della storia d'Italia, interessarono anche il nostro Appennino. Un valido apporto per l'analisi del fenomeno della Resistenza italiana e delle sue molteplici sfaccettature; la ricerca si concentra sulla strage che colpì Monchio il 18 marzo 1944 e cerca di risvegliarne la memoria attraverso la voce di coloro che furono testimoni di quella violenza


di Martina Galvani

Ancora una volta si cerca di fare un po’ di luce sul tema della Resistenza italiana e sul coinvolgimento delle nostre zone di montagna in questa complessa fase della seconda guerra mondiale. Questa guerra, che si consumò in Italia tra il settembre del ’43 e l’aprile del ’45, ha addirittura incontrato la definizione di «guerra civile»[1]. Tale definizione deve certamente essere accompagnato da un apparato di spiegazioni chiarificanti, che impediscano facili strumentalizzazioni da parte fascista, ma con le opportune cautele è lecito parlarne anche in questi termini[2]. Quest’ultima fase bellica, infatti, vide il popolo italiano scisso; parte di esso si oppose all’invasione tedesca e al totalitarismo fascista, intessendo una difficile collaborazione con l’esercito alleato, ma un’altra parte si schierò con la nuova Repubblica Sociale Italiana.
Tre organizzazioni governativo - politiche dividevano la popolazione in quel momento, alimentando una confusione destabilizzante; tre centri direttivi era presenti sul territorio italiano: il Regno del Sud, il cui governo era stato affidato dal Re al generale Badoglio, la cosiddetta Repubblica di Salò fondata da Mussolini sotto la coordinazione tedesca e infine il Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) che coordinava le operazioni partigiane. In più il suolo di un’Italia già provata dalle penurie della guerra era occupato da due eserciti stranieri: dal confine nord fino alla linea Gustav, nei pressi di Cassino, erano scese le milizie tedesche, mentre gli alleati, sbarcati in Sicilia, erano riusciti a giungere fino alla capitale.
Al di là di ogni semplificazione è dunque molto difficile, se non impossibile, classificare patrioti e traditori in quello che fu un periodo tra i più complessi della storia d’Italia. Non tutti coloro che si schierarono con la RSI lo fecero per convinzione: opportunismo, fedeltà a vecchi ideali o totale mancanza di una coscienza politica furono altrettanti validi motivi che spinsero a dare la fiducia al governo che fino a tre mesi prima aveva tirato le redini del Paese. Allo stesso modo è riduttivo parlare solo ed esclusivamente di patriottismo per quanto riguarda quella parte d’Italia che invece si oppose al paese che in brevissimo tempo si era trasformato da alleato a nemico invasore. Ancora una volta è opportuno riferirsi a Pavone che ha parlato di triplice guerra: patriottica, civile e di classe.[3]
Quello che però qui ci interessa e che interessa il nucleo della tesi di Giulia Grossi, intitolata Monchio, 18 marzo 1944. Una rilettura della strage attraverso le fonti cinematografiche e le fonti orali, va oltre a qualunque dibattito circa la legittimità di quella scelta fondamentale che riguardò la coscienza di ogni italiano dopo l’armistizio. Tale contributo, infatti, si sofferma sulla ricostruzione dei fatti che riguardarono quella parte di popolazione che inerme, e per un certo senso inconsapevole, si trovò nel bel mezzo di stragi e rappresaglie. Come sappiamo infatti anche i civili, in gran parte estranei alla complessa situazione politica o del tutto disinformati, si ritrovarono loro malgrado protagonisti della violenza e della brutalità della guerra.
Dopo un primo capitolo dedicato alla contestualizzazione storica delle stragi di civili, che lacerarono diverse zone d’Italia, il secondo si concentra nello specifico sull’eccidio di Monchio, Costringano e Susano che ebbe luogo il 18 marzo 1944. I fatti che qui vengono indagati hanno la loro origine nel cosiddetto ‘proclama Badoglio’, che il 3 settembre 1943 l’allora capo del governo firmò e che fu quasi obbligato a rendere pubblico in diretta radiofonica cinque giorni dopo la sua stipula; il generale Eisenhower infatti lo aveva già comunicato tramite Radio Algeri e dunque la sua ufficialità non poteva più essere procrastinata. Fu da quel momento in poi che l’Italia prendeva coscienza di avere il nemico ‘in casa’ e fu da allora che le brigate partigiane cominciarono a formarsi pian piano ed in modo chiaramente non omogeneo. Ma, nello specifico, è la primavera del ’44 il periodo che viene analizzato in questo contributo, perché fu proprio in questa fase della guerra che le nostre zone furono inevitabilmente straziate da un combattimento tra le milizie tedesche e le forze partigiane. Questo fu infatti il momento in cui il comando tedesco diede avvio ad un nuovo ciclo di rastrellamenti in Italia, in particolare in Emilia, Liguria e Piemonte.
Come ricorda Don Luigi Braglia nel suo scritto, Santa Giulia nei monti, il 18 marzo alle sei del mattino da Montefiorino i cannoni iniziarono a bombardare Monchio e i paesi vicini, a ciò si aggiunse poi un attacco di fanteria nella strada che collegava Savoniero a Monchio. Nel frattempo giunsero anche le milizie tedesche di Hermann Göring in cerca dei ribelli, ma la maggior parte di loro era riuscita a fuggire e nelle abitazioni rimanevano solo donne, bambini e anziani. A questo punto la situazione diventa difficilmente riassumibile, perché assume caratteri specifici da zona a zona che necessitano di essere descritti in modo dettagliato. La tesi si sofferma proprio su questo tipo di narrazione e ne descrive i particolari in modo minuzioso.
Questo lavoro si conclude poi con un capitolo, il terzo, dedicato all’approfondimento del film Sopra le nuvole, il quale ricostruisce le tragiche vicende che interessarono il nostro Appennino in questo periodo. Non manca inoltre un corposo appendice in cui sono riportate le testimonianze di alcuni dei sopravvissuti, raccolte tra Monchio e Lama di Monchio, utili per comprendere le vicende attraverso la viva voce di chi ha potuto testimoniarne la drammaticità.
Monchio, 18 marzo 1944. Una rilettura della strage attraverso le fonti cinematografiche e le fonti orali è dunque un valido contributo per un’indagine della storia d’Italia e del nostro Appennino che permette di ricostruire quelle vicende che, non troppi anni fa, macchiarono il paese con il sangue di tanti innocenti.





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[1] Il primo ad usare questo termine, che fino ad allora si era volontariamente evitato, è stato lo storico Claudio Pavone nel saggio del 1991, intitolato Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza.
[2]Sulla moralità nella Resistenza. Conversazione con Claudio Pavone condotta da Daniele Borioli e Roberto Botta, contenuta in Quaderno di Storia Contemporanea numero, n. 10, 1991, pagine 19-42: «Bisogna innanzitutto dire che il mio libro ha dovuto subire come dire - uno stiracchiamento da destra. Nel senso che i fascisti, che hanno sempre utilizzato, ma a torto, questo concetto come strumento per fare passare una equiparazione tra le due parti, ora sembrano dire: ecco, lo dice uno di loro, e quindi vuol dire che noi avevamo ragione e le due parti erano uguali. […]Da sinistra invece c'è stato un malumore, che però va scemando. Lo stesso Vendramini, che nella prefazione agli atti del convegno di Belluno aveva assunto una posizione un po' difensiva a causa di tutte le obiezioni che aveva avuto in loco contro la sua lodevole iniziativa (8), poi mi ha detto: però tu sei riuscito a far passare questo concetto anche nella cultura di sinistra e, una volta tanto, ci sei riuscito prima che ce lo imponessero gli altri».
[3] Cfr. C. Pavone, op. cit.

PI.CA HOLDING COSTRUIRA' LA NUOVA PALESTRA DI PALAGANO



Di Daniele Fratti

La costruzione della nuova palestra a servizio del centro sportivo "Papa Giovanni XXIII"  è ai nastri di partenza.
Nei giorni scorsi sono state aperte le buste delle offerte di gara, con base d'asta di 803.400 euro, per la realizzazione della struttura sportiva ed è risultata vincente la ditta PI.CA. HOLDING IT S.r.l., con sede a Milano ma operativa a Nonantola.
L'impresa rappresenta un simbolo della ribellione alla camorra, in quanto, come riportato da diversi quotidiani della provincia, ha subito per anni intimidazioni e minacce da parte del clan dei Casalesi. Minacce culminate nel 2007 con l'esplosione di un ordigno davanti ad un negozio di sanitari per il bagno, collegato ai titolari della società di costruzioni.
I due soci, Raffaele Cantile e Francesco Piccolo, non si sono mai fatti intimidire ed hanno avuto il coraggio di denunciare, tra gli altri, il boss Michele Zagaria. Dopo anni di processo lo scorso 12 maggio il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha emesso la sentenza, condannando Zagaria a 24 anni di carcere per associazione a delinquere ed estorsione.
Nonostante la denuncia abbia costretto i due imprenditori ad una vita sotto scorta essi hanno proseguito nella loro attività, rendendosi fautori di moltissime opere nelle aree terremotate.

Ed ora saranno protagonisti della costruzione di un'importante ed attesa struttura del nostro Comune.


TORNANO GLI SKANDALS


Lo ska dell’Appennino è vivo e vegeto.
E rinasce a Palagano. Un sopravissuto alla prima formazione degli Skandals,
band di culto dei primi anni 2000, ci porta il lieto annuncio della reunion
più clamorosa dopo quella dei Led Zeppelin


Intervista a Tizzy “T-zed” Braglia
di Francesco Dignatici

Non so da dove partire, confesso di essere un po’ teso.
Cosa diavolo è ‘sto casino che si sente fuori?
Motociclisti. Sembra un film, tutti a rompere le palle proprio ora.

Proviamoci. Sei uno dei pochi superstiti della prima formazione, quella a prevalenza montefiorinese, che esplose nei primi anni 2000.
Cosa mi racconti dei “bei tempi”? (I motociclisti, nel frattempo, non la smettono).
Sono proprio moto bastarde… di quelle smarmittate per giunta.

Un po’ come il Cavallo Maestri…E’ così. Devo dire che la scena ska, in molti posti non era molto ben rappresentata. Non lo era per nulla nei nostri paesi. A Palagano, a quei tempi sembrava esserci una linea ben precisa: “Solo Rock and Roll, grazie”. Forse è ancora così. Di per sé è anche una cosa positiva, oltre che un carattere distintivo per il nostro paese. Tuttavia, quando abbiamo cominciato con gli "Skandals", sono stato subito affascinato da quel che di diverso.

Cose c’era di così diverso?Difficile da dire. Sicuramente un’atmosfera musicale nuova per me, sostenuta da un ritmo veloce e folle. Il tutto condito da una discreta dose di stupidità.

Ironia e divertimento. Mentre tutti gli altri gruppi, che contemplavano le vecchie glorie del Rock, cominciavano a soffrire di una seriosità un po’ eccessiva… non ti eri un po’ rotto le scatole di ascoltare cover dei Rolling Stones?Non è tanto quello.
Sono solo approcci differenti.
Noi ci siamo sempre considerati più come un corpo di ballo piuttosto che un complesso musicale. Le nostre esibizioni live, senza i 30-40 scalmanati che si agitano sotto il nostro palco, perderebbero il loro cuore pulsante. Senza di loro saremmo un po’ uno “fchoff” [espressione del vocabolario degli Skandals, equivalente all'italiano “ciofeca”, nda].
La gente ci dà la motivazione per essere ancora più idioti e per guardare oltre le nostre prese in giro, a partire da quelle rivolte a noi stessi.
Questo vale oggi come allora. Palagano è più classica, musicalmente parlando.
Ciò non toglie che il “classico” sia comunque un metro di paragone e giudizio importante.

Ottimo. Posso riportare nell’intervista il fatto che in questo momento sei in mutande?Scandalosamente. Sì!

Come sei entrato in quei “primi” Skandals?Da una porta di uno scantinato. Poi si saliva al secondo piano, sopra un’officina meccanica, almeno così mi pare di ricordare. Siamo in centro a Montefiorino. Nel nostro luogo di ritrovo, volevamo assicurarci di dare nell‘occhio. Eravamo proprio di fronte alla stazione dei Carabinieri.
Lì, oltre alla musica, svolgevamo parecchie attività differenti, più o meno lecite. La scelta era legata ad una sorta di psicologia inversa: nessuno si sarebbe immaginato che fossimo talmente idioti da fare quello che facevamo proprio lì. Così ce ne stavamo tranquilli. Poi però ci siamo dovuti spostare, perché ci serviva più spazio.

Chi c’era insieme a te?All’inizio c’erano Davide Guidi alla voce, Luca Fontana al basso, Iugi Baroni alla tromba e Sammy Galvani  alla batteria. Successivamente si aggiunsero Paolo Franchi come seconda chitarra e Cecio Cappelletti alle tastiere. Senza contare l’asso nella manica. Abe non era un semplice fan degli Skandals…
Abe era una figura mistica. C’era e non c’era. Quasi nessuno lo sa, ma fu il primo paroliere degli Skandals. I testi di canzoni come Cavallo Maestri così come la rivisitazione di Nadia, dedicata ad una sua ex-fidanzata, sono da accreditare a lui. E’ il nostro spirito guida. Ora vive fra Bologna e Berlino, ma alle date degli Skandals non manca mai. Arriva sempre con giganteschi cartelloni dove scrive cose tipo “L’idiozia non va via” oppure “Tour” o altre cose. Solo lui capisce davvero cosa significhino. Tuttavia è bello vedere una persona impegnarsi e scervellarsi per fare cose senza senso come queste. E’ bello che lui ci creda.

Quindi Abe fu anche uno dei vostri autori “maggiori”?In nessuna occasione utilizzerei la parola “maggiore” quando si parla di Abe. Ma posso garantirti che è uno che ha dato l’anima per gli Skandals. Da questa iperbole che costituisce il suo cervello sono uscite cose geniali.
Qualcuno ha detto che Abe sta a noi come l’architetto Luca Mangoni sta agli Elio e le Storie Tese. Non è così. Innanzitutto perché Mangoni è molto più intelligente di Abe, nonché di aspetto più piacevole. Abe, dal canto suo, porta i capelli lunghi ed indossa vestiti alternativi, mentre Mangoni no. Per concludere, Abe è magro mentre Mangoni è più grassottello. Queste sono le differenze fra Abe e Mangoni.

Io aggiungerei anche che Mangoni, va detto, si è un po’ montato la testa. Abe è rimasto Abe.Anche questo è vero. Ci sta, anzi... ci ska.

Cosa mi dici del sound degli Skandals agli albori?Sammy mise un copyright su questo ritmo con charleston in levare, il cosidetto zi-TUN-zi-TA-zi-TUN-zi-TA-zi-TUN-zi-TA-zi-TUN-zi-TA-zi-TUN.
Il marchio su questo ritmo è registrato ed è di sua proprietà. Ma potrebbe anche arrivare a venderlo, così come vende svariate cose… ad esempio le batterie dei flipper degli anni ’80, che custodisce nel suo armamentario personale.
C’era poi la chitarra di Guidi, acidissima sulle frequenze medio-alte, anche questa sempre in levare. E poi il maestro, il grande Iugi, tromba (anche parecchio, secondo me). Luca Fontana aveva il Punk rock nel sangue. Ora però si dedica con passione ad allevare dei cani e non ha potuto accettare la nuova chiamata della band. Come dargli torto, dopotutto? Vuoi mettere un bellissimo Labrador con Abe? E’ ovvio che uno sceglie il bellissimo Labrador. La scelta si giocava tra un branco di Labrador di razza ed un branco di bastardi. Questo senza dimenticare il motivo principale che ha trattenuto a casa Davide e Luca, ovvero le loro bellissime famiglie.

Gli Skandals non pensano alla famiglia?La nostra famiglia sono i nostri fans.

Bella, gran ruffianata. La metto di sicuro nell’intervista.Ah!

Quali furono, secondo te, i momenti “top” degli Skandals versione primi anni duemila?Ci fu qualche gran bel live. Come le date con i Pitura Freska a Pievepelago e con i Meganoidi a Pavullo. Conta che tutto durò veramente un lampo, fummo come una meteora. Detto questo, l’esibizione a cui sono più legato è quella a Farneta del 2001, quando abbiamo suonato sul cassone di un camion. In discesa.

Ne so qualcosa. Figurai come produttore del disco live che uscì in seguito a quella serata, sotto lo pseudonimo di “Winston”. Esattamente. Poi ci furono censure e problemi vari legati al linguaggio esplicito ed altre cose di questo genere. Il disco non ebbe mai una pubblicazione ufficiale. Colgo comunque l’occasione di ringraziarti per averci prodotto.

E’ stato un piacere. Arriviamo ai giorni nostri ed al momento cruciale, quello della reunion. Cosa vi è saltato in testa?Il pretesto fu l’imminente Lebowski Fest a Savoniero. Dovevamo esserci, anche perché in alcuni avevamo dato completa disponibilità durante una sera in cui eravamo ubriachi. Avremmo affiancato band storiche del panorama punk italiano, come Duracel e FFD, una prospettiva eccitante.
Fu una decisone lampo. Ci trovavamo nella necessità di avere una band al completo. Invece di cercare di riesumare la vecchia formazione, cosa che si era rivelata alquanto difficoltosa, abbiamo puntato al nuovo. Ci servivano soggetti giusti. Daniele Zordanello aveva molti punti come talento e pochi punti sulla patente. Fu subito chiamato in causa.

Qualche membro della vecchia formazione non  ha passato il “ripescaggio”. Come si sono posti nei vostri confronti? Assolutamente bene, nessuna sgarbatezza o cose del genere. Ci sostengono e ci vengono a vedere dal vivo quando possono.
Diciamo che, per noi, la voglia di suonare ha superato l’importanza di conservare gli Skandals originali.

Cosa prova la “vecchia guardia” a suonare negli Skandals nel 2014?Noi “veterani” siamo invecchiati nel corpo ma non nello spirito. Sostanzialmente, abbiamo constatato un fatto: non siamo maturati per niente. Ti faccio un esempio: è bello voltarsi sul palco e vedere un Cecio Cappelletti, personaggio rispettabilissimo ed attivo nell’amministrazione comunale, indossare una maschera, chessò… da scimmia.
Ti fa capire che forse abbiamo seri problemi che non sono mai stati affrontati, ma che alla fine è bello che ci siano. Sull’onda dell’eccitazione per l’imminente data alla Lebowski Fest, Sammy, il nostro batterista è entrato in armeria e se ne è uscito con cinquanta euro di fuochi d’artificio. Non li fece scoppiare per l’evento per ragioni meteorologiche e rimasero inutilizzati. Stiamo pensando di farli scoppiare in un locale al chiuso.
Parlami dei nuovi ingressi.
Se mi permetti, farei un pagellone nello stile delle partite di pallone.
Daniele Bettuzzi: capello lungo, tanta voglia di fare, talento armonico e ritmico. Incredibilmente generoso, ci offre casa sua per darci la possibilità di fare le prove. Vive coi genitori e con la nonna, ciò nonostante ci permette di fare un bordello allucinante e ci offre birra per idratarci. Persona squisita, dall’animo nobile e gentile. Rivelazione. Voto: 9+.
Daniele Zordanello: leader carismatico e voce necessaria in questo momento storico degli Skandals. Capacità di intrattenere il pubblico in un dialogo costante. Talento puro. Voto 10.
Federico Piacentini: il nostro “Flea” [bassista dei Red Hot Chili Peppers, nda]. Veloce sui capotasti, viene da una famiglia di musicisti e nel suo sangue scorre un ritmo totalmente naturale.
Furia e tempesta. Voto: 9+.

Qual è il vostro progetto imminente?Grazie anche al positivo “calcio in culo” sferrato alla band dai nuovi ingressi, abbiamo ora una nuova sfida: tradurre le nostre emozioni fanciullesche in canzoni, vere composizioni originali.

Coronerei questa intervista, fin troppo seriosa, con un giudizio finale. Chi sono veramente gli Skandals?Siamo una banda di bastardi.
Vogliamo divertirci, fare serate e non prenderci troppo sul serio. E basta. Il resto conta poco. 



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UN SALUTO A DON ADRIANO


Don Adriano era speciale, sia come persona sia come sacerdote; legato alle tradizioni, schivava però le convenzioni, era appassionato di storia
e uomo di profonda cultura


Di Davide Bettuzzi

Domenica 3 agosto mentre si trovava con i propri parenti a Frassinoro, il suo paese d'origine, don Adriano è stato vittima di un attacco cardiaco: trasportato in eliambulanza all'ospedale di Baggiovara è deceduto il giorno successivo all'età di 77 anni.
Nato a Frassinoro nel luglio 1937, venne ordinato sacerdote nel giugno del 1960. Fu cappellano per tre anni a Pavullo, poi a San Faustino fino al ‘65 e a Camposanto per quattro anni.
Sempre pronto ad obbedire ai superiori, quando mons. Amici, vescovo di Modena nel 1965 gli chiese di andare all'università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, don Adriano accettò subito di buon grado e si mantenne gli studi con le borse di studio che gli permisero di non gravare sulla famiglia. Il 25 giugno 1969 si laureò con lode. Lo stesso anno tornò nel  suo paese per insegnare alla scuola media (poi preside fino alla pensione), occupandosi contemporaneamente anche del Liceo Maria Immacolata di Palagano. L’insegnamento di don Adriano era sostenuto dalla passione nel voler trasmettere ai ragazzi l’interesse per la cultura, al fine di formare futuri adulti consapevoli di sè e del mondo. Accanto all’incarico scolastico, ha assunto i ruoli di amministratore pastorale di Cargedolo, di vicario di Frassinoro e, dal 2010, di canonico del Capitolo della Cattedrale. Dal 2000 era alla guida, prima, dell’Ufficio Diocesano per i Beni Culturali, poi del Museo Benedettino e Diocesano d’Arte Sacra, dell’Archivio Capitolare e dei Musei del Duomo. Negli ultimi anni ha svolto il suo ministero sacerdotale anche nelle parrocchie di Cargedolo, Frassinoro, Piandelagotti e Sassatella. L’amore per la sua terra d’origine ha portato don Adriano a compiere molti studi sull’eredità spirituale e storica dell’antica Badia matildica, punti di partenza per conoscere le radici del territorio frassinorese e i suoi legami con la tradizione medievale.
La liturgia funebre si è svolta il 6 agosto in Cattedrale a Modena, presieduta dal vicario generale mons. Morandi. Come ricorda Simona Rovesti, dell’Ufficio Beni Culturali: “Don Adriano era speciale, sia come persona sia come sacerdote; legato alle tradizioni, schivava però le convenzioni, era appassionato di storia e uomo di profonda cultura, ma era allo stesso tempo 'moderno'. La sua modernità consisteva nel volersi tenere sempre aggiornato e al passo coi tempi; la sua elasticità e freschezza di pensiero lo portavano a capire nel profondo l’essenza delle questioni, dei problemi, riuscendo a risolverli con efficienza e pacatezza, perché li poteva vedere con lungimiranza”.
Chi è stato accanto a lui in questi anni lo ricorda per “i suoi modi garbati e discreti, le sue attenzioni soprattutto verso gli anziani e i malati che, quando poteva, andava a visitare. Per le sue parole di conforto e i consigli; sempre disponibile e mai invadente né tantomeno saccente. Molto grato a Nostro Signore per ciò che gli aveva dato, per la grazia del sacramento sacerdotale, vissuto sempre in pienezza, obbedienza e responsabilità in tutti gli incarichi e presso le varie comunità che gli erano state affidate”.



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CITTADINANZA ONORARIA ALL'AVVOCATO ANDREA SPERANZONI


Di Patrizia Dignatici

Domenica 26 ottobre, a Palagano si sono chiuse ufficialmente le celebrazioni del 70esimo anniversario della strage di Monchio, Costrignano, Susano e Savoniero. La scelta di chiudere gli eventi nel capoluogo è nata dall'esigenza di coinvolgere sempre più tutto il territorio in queste occasioni di memoria collettiva.
L'Amministrazione comunale ha scelto quest'occasione per il conferimento della cittadinanza onoraria all'avvocato Andrea Speranzoni che, dal 2008, in qualità di difensore di parte civile, ha assistito numerosi familiari delle vittime, Enti pubblici territoriali e l’A.N.P.I. nei processi celebratisi dopo la scoperta del cosiddetto “Armadio della vergogna”, davanti al Tribunale Militare della Spezia, al Tribunale Militare di Verona e alla Corte Militare di Appello di Roma per le stragi di civili avvenute in Italia nel 1944.
Alle ore 9,30 la cerimonia ha avuto inizio alla presenza dei familiari delle vittime della strage del 18 marzo 1944, dell'onorevole Matteo Richetti, del neoeletto presidente della provincia  Maria Costi, del consigliere regionale Luciana Serri, dei sindaci e rappresentanti di comuni della provincia, dei rappresentanti dell'Accademia Militare di Modena, della Prefettura, dell'Arma dei carabinieri, della Guardia di Finanza, della Polizia municipale, degli Alpini e dei volontari di numerose associazioni del territorio.
Dopo il saluto del sindaco Fabio Braglia, hanno preso la parola le diverse autorità per esprimere in modo unanime l'apprezzamento per il prezioso lavoro svolto dall'avvocato Speranzoni e per la sentenza della Corte Costituzionale che proprio all'inizio della settimana ha sancito che se uno Stato si macchia di crimini di guerra o contro l’umanità, se lede e calpesta diritti inviolabili della persona garantiti dalla Costituzione il principio dell’immunità degli Stati dalla giurisdizione civile (quel principio, generalmente riconosciuto, che impedisce di agire in giudizio contro un Paese straniero) cede il passo alla necessità di tutelare diritti superiori.
L'avvocato Speranzoni ha quindi presentato il suo ultimo lavoro: "Le stragi della vergogna. Aprile 1944. I processi ai crimini nazifascisti in Italia" dove indaga il rapporto tra segretezza e trasparenza delle decisioni, rovistando nelle pieghe più nascoste dei crimini nazifascisti commessi in Italia nel 1944.
Si affronta il delicato tema dell’Armadio della vergogna e degli effetti che l’occultamento di centinaia di fascicoli di indagine insabbiati nel 1960 hanno prodotto nel faticoso percorso della giustizia, nella storia di migliaia di vittime civili e della società italiana. Le pagine di Speranzoni danno voce alle vittime, al loro racconto che da ricordo, attraverso l’esperienza di giustizia, diviene memoria pubblica.
C’è anche la voce dei nazifascisti. Per la prima volta vengono pubblicate intercettazioni telefoniche di ex nazisti,  intercorse tra il 2006 e il 2008, che hanno consentito di ascoltare il loro pensiero a distanza di decenni e di inchiodare alcuni di loro alle responsabilità penali per i crimini di massa allora compiuti. La prefazione è stata curata da Carlo Smuraglia, presidente dell’ANPI nazionale; la postfazione da Marco De Paolis, Procuratore militare della Repubblica di Roma.
Alle 10,45 si è svolto il corteo guidato dai Cadetti dell'Accademia Militare di Modena e dalla Banda musicale di Palagano fino alla chiesa parrocchiale. Sul sagrato vi è stato il ricordo del colonnello Giovanni Duca, medaglia d'oro al valor militare e la deposizione di una corona davanti al monumento che ricorda l'uccisione dei due ragazzi Aurelio Aravecchia e Dante Schiavone ad opera dei militi dieci giorni prima della strage del 18 marzo.
Alle 11,30 vi è stata la celebrazione della santa Messa animata dalla Corale palaganese; al termine la cerimonia di conferimento della cittadinanza onoraria all'avvocato Andrea Speranzoni.



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JOHN E JOHNNY POLENTA



Il nuovo canale emergenti su YouTUBE


Di J&J P

Chi sono John e Johnny Polenta?
Siamo due semplici ragazzi di 16 e 14 anni, che hanno voglia di far divertire le persone attraverso video.

Da dove venite?
Veniamo da Toggiano, una “città” che appartiene al comune di Palagano.

Com'è nato il vostro nome?
Un pomeriggio qualunque di quest’estate, dopo aver deciso di aprire un canale Youtube, abbiamo pensato ai nostri grandi nomi d’arte. Abbiamo scelto John & Johnny perché sono due nomi simpatici e facili da ricordare, invece per il cognome abbiamo iniziato a sparare parole a caso finché non è uscito il “Polenta”.

Perché avete iniziato?
Abbiamo iniziato semplicemente per divertimento, ma soprattutto per far divertire gli altri. All'inizio, da noi e dai nostri amici, fu preso come uno scherzo; oggi abbiamo tale successo da avere 120 iscritti sul nostro canale e 5270 visualizzazioni in tutto.

Di che cosa trattano i vostri video?

I nostri video sono tutti diversi: facciamo il telegiornale toggianese, le pubblicità dei prodotti locali e le "Special Battle". Partendo con il telegiornale toggianese, meglio conosciuto come TGT, in cui informiamo i cittadini di Toggiano e di altri paesi, su quello che accade tutte le settimane: intervistando personaggi epici della contea come il sindaco Terzo, il suo assistente Lillo, l’allenatore del Toggiano United Bruno, il presidente della squadra Sandro, i giocatori Dany10 e L.D.E, i musicisti Matty Caceres e Den e altri ancora; si passa poi alla serie delle pubblicità, dove si possono ammirare le qualità delle nostre terre. Infine ci sono le Special Battle, dove noi e ospiti speciali ci sfidiamo in gare molto divertenti.

Cosa volete fare in futuro?
Dove volete arrivare?

In futuro il nostro sogno sarebbe quello di diventare cosi famosi da condurre qualsiasi spettacolo locale e da essere riconosciuti e complimentati dalle persone che ci incontrano.  Un’idea per la nostra carriera è quella di condurre un talent per musicisti e comici dal nome Toggiano’s Talent. Inoltre vorremmo continuare a pubblicare i nostri video e ad avere sempre più iscritti e visualizzazioni.

Qual è il segreto del vostro
successo?

Non ci sono segreti, cerchiamo solo di divertirci con cose semplici e sincere.
Ad emergere sui social ci hanno aiutato la nostra volontà, la nostra voglia, la nostra determinazione e la nostra passione verso youtube e verso la comicità.
Un saluto da John e Johnny Polenta!



 

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SEI GIORNI ALL'EX ARSENALE


Stando a Torino ho avuto modo di riflettere su come, molte volte, noi giovani siamo in realtà già vecchi, ci arrendiamo senza lottare, pensiamo che se le cose vanno in un certo modo non saremo sicuramente noi ad avere la possibilità di cambiarle; il SER.MI.G è la prova che tutto questo è una falsità.



Di Lorenza Baschieri

Il SER.MI.G (Servizio Missionario Giovani) nasce da un’idea di Ernesto Olivero che, nel 1964, decide, assieme a un gruppo di ragazzi, di combattere la fame nel mondo. Dal 1983 la loro sede è l’ex arsenale militare di Torino che sorge nel "bronx" della città e, grazie all’impegno di volontari, è stato trasformato da luogo di morte in luogo di pace, solidarietà e fraternità, dove ogni giorno vengono accolte persone bisognose alle quali vengono offerti cibo, vestiti e un luogo in cui dormire. All’interno è stato costruito anche un asilo nido; nei pomeriggi i ragazzi dai sei ai diciotto anni possono recarvisi per essere aiutati nello studio, per partecipare a laboratori di musica o ad attività sportive e, grazie alla disponibilità di alcuni dottori, è possibile fare gratuitamente visite mediche.
Il SER.MI.G è inoltre un luogo dove i giovani possono fare esperienza di  solidarietà, aiutando a svolgere i lavori necessari e soffermandosi a riflettere su problematiche mondiali e sulla Parola di Dio, che sta alla base di ogni attività. Per quattro anni infatti Olivero e i suoi amici hanno recitato il rosario davanti alla porta dell’arsenale, pregando perché fosse loro permesso di ristrutturarlo e anche oggi per il proprio sostentamento si affidano alla Provvidenza.
Noi ragazzi della Val Dragone vi abbiamo trascorso sei giorni, durante i quali abbiamo potuto vedere dall’interno l’arsenale e abbiamo addirittura avuto la possibilità di conoscerne il fondatore. E’ incredibile ciò che un gruppo ristretto di persone è riuscito a fare semplicemente decidendo di cambiare se stessi e il proprio modo di agire.
Stando a Torino ho avuto modo di riflettere su come, molte volte, noi giovani siamo in realtà già vecchi, ci arrendiamo senza lottare, pensiamo che se le cose vanno in un certo modo non saremo sicuramente noi ad avere la possibilità di cambiarle; il SER.MI.G è la prova che tutto questo è una falsità. E’ nato dal sogno di fare qualcosa di grande e di buono e si è avverato semplicemente perché Olivero e tutti coloro che lo hanno  aiutato non si sono lasciati abbattere, non hanno avuto paura di continuare a credere e a sperare e le cose le hanno davvero cambiate. Hanno iniziato compiendo piccoli passi, ma non sono mai stati fermi, hanno continuato a camminare ed io credo che questo sia un grande insegnamento per tutti noi che troppo spesso tendiamo a giudicare, ad incolpare gli altri, abbiamo paura di andare controcorrente e di seguire i nostri ideali.
La prima cosa che si vede entrando nell’ex arsenale militare è un muro su cui vi è una scritta che recita “La bontà è disarmante” ed è stupendo pensare che un tempo lì venivano prodotte armi, mentre ora vengono accolte persone di varie nazionalità, diverse tra loro, ma con una cosa in comune: avevano bisogno di aiuto e qui lo hanno trovato. Trascorrendo del tempo al SER.MI.G ho capito che la bontà disarma davvero, troppe volte siamo così preoccupati per noi stessi che ci dimentichiamo degli altri, troppe volte abbiamo paura che l’essere buoni ci porterà ad “essere fregati” e qui ho avuto una chiara testimonianza del fatto che tutto ciò non è vero. La cosa che però mi rimarrà nel cuore forse più di tutte è la fede che Ernesto Olivero ripone nei giovani. Stiamo attraversando un periodo molto difficile a causa della crisi, il tasso di disoccupazione non fa che crescere e sono sempre di più le famiglie che faticano ad arrivare alla fine del mese. Questo mondo che sembra andare alla deriva mi spaventa, ho paura di ciò che troverò una volta finiti gli studi, ma quest’uomo è stato in grado di trasmettermi speranza, di farmi capire che anche partendo dal nulla, come ha fatto lui, si può creare tanto, basta avere coraggio e questa non è una favola, è successo davvero, i sogni possono avverarsi. E’ proprio per questo che ho deciso di concludere citando una frase che rientra tra i più grandi insegnamenti che mi porto a casa dopo questa settimana, ovvero “Chi cambia sè cambia il mondo”. 



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E SE, PER CASO...




Circa 60 anni fa nasceva il nostro comune, ma era per una esigenza quanto mai fondata. Il mondo è cambiato e forse molte di quelle esigenze sono venute a meno a fronte di nuove.


Di Paolo Gualandi

Se quattro anni fa vi avessero chiesto il significato di spending review cosa avreste risposto? Immagino che molti di noi (io compreso) avrebbero allargato le braccia o al più si sarebbero fiondati su Google per trovare una risposta.
Oggi questa espressione è quanto mai attuale e tra le prescrizioni più in voga per risparmiare qualche soldino c’è quella della razionalizzazione degli enti locali, comuni compresi.
Si inizia a parlare di accorpamento. Il 25 novembre 2012, in Provincia di Bologna, i cittadini dei comuni di Bazzano, Crespellano, Savigno, Monteveglio e Castello di Serravalle si sono espressi in favore della fusione con una maggioranza del 51,5%. Il primo gennaio 2014 è ufficialmente nato il comune di Valsamoggia, realtà che conta circa 30.000 abitanti. Il progetto di fusione è nato direttamente dalle amministrazioni dei singoli comuni che già facevano parte della medesima Unione ed è stato caratterizzato da un’ampia fase preparatoria per valutarne fattibilità e benefici. Per citare un dato: è stato stimato che il comune unico genererebbe un aumento di risorse disponibili di poco meno di 3 milioni all’anno.
Tornando a noi, è forse così impensabile interrogarsi sulla possibilità di intraprendere la stessa strada anche nella nostra valle, abbandonando le mitiche quanto anacronistiche dispute tra campanili? I comuni della Val Dragone hanno problemi molto simili e da anni collaborano attivamente nell’Unione dei comuni.
Circa 60 anni fa nasceva il nostro comune, ma era per una esigenza quanto mai fondata.
Il mondo è cambiato e forse molte di quelle esigenze sono venute a meno a fronte di nuove.
Per ora rimaniamo alla finestra e vediamo quali saranno i risultati dei nostri vicini bolognesi. La loro esperienza potrebbe tornarci utile per le scelte future...



TORNEO DELLE BORGATE - IL RITORNO DEI MORTI SCALCIANTI


Rigori tirati a 10 centimetri dalla riga di porta con il portiere che si doveva girare dicendo un-due-tre-stella, punteggio cestistico (la partita è finita 80-79 per Palagano Centro), gente che urlava malinconicamente: "Fame! Vogliamo le tigelle!"


Di dott. Tiziano "Tizzi" Braglia
Prima dell'apertura della piscina, prima delle sagre, dei balli dei cowboy e dei matti in festa, c'è un momento esatto in cui si percepisce l'arrivo della bella stagione.
Quest'anno le previsioni mettevano acqua. E invece l'annuale (fino a quando?) "Torneo delle Borgate" è stato benedetto da un sole che ha voluto pagare il giusto tributo a corpi statuari, divise sgargianti e gesti tecnici pirotecnici che si sono manifestati fino a sera, giù nel campo di fianco al campo sportivo.

L'attesa
L'attesa è sempre condita da un quantitativo di minacce, provocazioni e ingiurie che fanno precipitare le borgate di Palagano al tempo dell'alto medioevo, dove il popolo era solito conquistare una donzella con un calcio e il rispetto con una coltellata.
Questo ritorno agli istinti primordiali scatena anche una voglia matta di autodeterminazione dei popoli delle suddette borgate.
Ha fatto molto parlare la richiesta di indipendenza di Via Palazzo Pierotti dal Monticello, così come la scelta di inserire nella contea di Savoniero le terre di Susano e Costrignano.  Ed è solo grazie ad un oscuro lavoro di diplomazia organizzato da Andrea Fratti (controlla il boiler la prossima volta, bastardo!) che non ci sono stati i regolamenti di conti che si attendevano. La geopolitica palaganese, va da sé, è mutata per sempre.
Le squadre
Oltre alle squadre sopracitate, che a dire il vero si sono rivelate anche le delusioni del torneo, il calendario vedeva la presenza di altre 6 squadre dai nomi altisonanti tipo Palagano Centro, Palagano Alta, Boccassuolo. Ogni squadra aveva almeno un sovrappeso, almeno un giocatore che aveva sopravanzato di gran lunga la quarantina e una pletora di gente messa lì solo per far presenza e che non conosceva le regole elementari del giuoco del calcio, non avendolo invero mai praticato. Queste regole non sono valse solo per due squadre, Aravecchia e Santo Stefano, che si presentavano come i grandi favoriti, potendo contare su vecchie glorie, eppure mai veramente  sbocciate e giovanotti aitanti, magri come il peccato ma con le polveri bagnate.
Completava il gruppo il Monticello che senz'altro poteva contare sul maggior numero di wags, che hanno anche esposto durante il minuto di silenzio in onore del football, un cartello inneggiante alle presunte qualità fisiche dei giocatori della contrada.

La tenzone
Visto che l'anno precedente la partita più avvincente si era conclusa sul punteggio di 1 a 0, gli organizzatori quest'anno hanno scelto di allargare le porte.  "Ci piace farla semplice", hanno tagliato corto con chi osava chiedere spiegazioni. Una rivoluzione che si è rivelata inversamente proporzionale al bel gioco, ma che ha permesso a vecchi predoni dell'area di rigore, a quota zero reti segnate dai tempi del grande Lama 80 e dell'Unione Sovietica, di riuscire finalmente a marcare un goal.
In finale ci sono arrivati Palagano Centro e Palagano Alta. I tempi regolamentari si sono chiusi sul risultato di parità prima di dare il via a una della più ridicole lotterie dei rigori della storia.
Rigori tirati a 10 cm dalla riga di porta con il portiere che si doveva girare dicendo un-due-tre-stella, punteggio cestistico (la partita è finita tipo 80-79 per Palagano Centro), pubblico annoiato, gente che urlava malinconicamente "fame! Vogliamo le tigelle!", e poi l'acqua, anche lei per una volta benedetta. La pioggia battente ha messo fine al supplizio decretando finalmente il vincitore. Alla fine nessun infarto, ma tante contusioni e molti giocatori a maledire i rispettivi capitani dicendo "col cazzo che la prossima volta mi convinci", "facevo meglio ad andare al mare a cuccare", "meglio andare a Sasso Guidano a suonare con la banda" e altre frasi prive di senso.
Alla fine il richiamo della patria è troppo forte, così come la voglia di primeggiare sugli altri e di esibire per un anno intero lo stemma della propria contrada in pub, vomitando su chiunque altro la propria superiorità.
Per la cronaca: secondo le regole stipulate tra due saggi della Macchiaccia i giocatori del Savoniero avrebbero dovuto sfilare in mutande per le vie del paese, ma chi glielo va a dire a quelli... Io no di sicuro!


UN NUOVO LIBRO SUL BEATO ROLANDO RIVI





Di don Carlo Bertacchini

Approfittando del periodo estivo e quindi della presenza di diversi amici e villeggianti che vengono qui per passare un po’ di giorni sulle amate montagne, il giorno 22 agosto abbiamo organizzato come parrocchia di Monchio la presentazione del nuovo libro sul beato Rolando Rivi, del giornalista Andrea Zambrano, intitolato: "Beato Rolando Maria Rivi – Il martire bambino".
L’occasione era davvero ghiotta anche perché questo libro, oltre alla post-fazione del Vescovo Mons. Luigi Negri presidente del Comitato Amici di Rolando Rivi, comprende un’ampia ed esauriente prefazione dello storico Giovanni Fantozzi, che per ragioni personali e di mestiere, si può davvero definire un esperto delle nostre montagne e della loro storia, soprattutto di quella recente. Così, estendendo l’invito al Vicario Episcopale don Federico Pigoni e all’ex Sindaco di Castellarano Danilo Morini, che tra le altre cose ha conosciuto personalmente il nostro beato, abbiamo avuto l’onore di poter dare vita nella nostra Chiesa parrocchiale ad una serata speciale, un’opportunità ulteriore per mettere in luce da diversi punti di vista la freschezza della testimonianza di Rolando e anche le circostanze che lo hanno portato al martirio.
Il giornalista Zambrano infatti, nel suo libro, ha cercato proprio di mettere a fuoco l’ambiente in cui sono maturate le premesse al fatto tragico che ha coinvolto la famiglia di Rolando e la Chiesa locale. Il suo mestiere di giornalista ha favorito una raccolta di dati e di testimonianze impressionanti non conosciute ai più, avventurandosi anche, in qualche occasione, in alcune considerazioni personali ad esempio sull’operato della Chiesa in quegli anni difficili o sulle ipotesi riguardanti punti non ancora chiari della vicenda. Una mole di lavoro che va oltre il semplice mestiere o il dovere di cronaca, ma che rivela, come ci ha detto anche lo stesso autore nella serata di presentazione del libro, una grande passione per la figura di Rolando e per il dono che ne deriva per noi credenti. Certamente questa sua ricerca non risparmia nessuno, come detto nemmeno la componente ecclesiastica e… lo stesso martire. Viene infatti ampiamente vagliato tutto il clima di sospetto in cui era caduta la figura di Rolando, grazie alle false testimonianze che lo volevano spia dei tedeschi; in questo senso Zambrano, pur avvalendosi dell’inequivocabile sen-tenza del processo civile, non risparmia di guardare a fondo dentro a quello che le persone potevano realisticamente pensare in quegli anni difficili e quindi non nasconde la fatica di chi sapeva, ma non poteva parlare e viceversa chi non poteva sapere perché non si parlava. È anche da qui che nasce la sua voglia di raccontare ed è anche questo il motivo per cui credo vada apprezzato il suo lavoro: quando si focalizza così tanto l’ambiente e la storia credo che anche una verità difficile come quella che si racconta comprenda già al suo interno tutte le componenti per non giudicare, o quanto meno per non farlo con quella facilità che è figlia dell’ignoranza o della presa di posizione partitica o ideologica. Spero che questo sia scongiurato anche grazie al lavoro di Zambrano quanto meno dal suo tentativo di mettere a disposizione del beato Rolando le sue competenze e la sua passione. Per noi comunque a prescindere da tutto, un’altra occasione per parlare di lui e della sua amicizia speciale con Gesù e soprattutto per parlare con lui nella nostra preghiera. Un grazie sentito all’autore, a tutti coloro che sono intervenuti e a Maria Grazia Casini per l’organizzazione.


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sabato 20 settembre 2014

ASPETTANDO IERI



di Enes Ljesnjanin

A fatica riesco ad alzarmi dal letto. Che succede? Sento le ginocchia tremare, far fatica a sorreggere il peso del corpo. Appoggio i polsi sul letto, e facendo leva mi alzo in piedi. Tengo la mano destra attaccata al muro per aiutarmi a sorreggermi.
'Dov'era l'interruttore della luce?' penso tra me e me. E' buio nella stanza, e passo piano piano il palmo della mano sulla parete alla ricerca non ancora affannosa dell'interruttore.
'Ah, ecco trovato' sussurro. Deve essere certamente questo.
No, mi sbagliavo, è solo una presa di corrente.
Continuo a palpare il muro, adesso ho un po' di ansia, non trovo ciò che sto cercando.
Mi sposto a piccoli passi.
Finalmente la ruvida superficie toccata fin'ora lascia spazio ad una superficie metallica, di poco in rilievo.
'Sì, l'interruttore.'
Accendo la luce. Niente affanno. Sì, niente affanno. Sono in piedi, anche se continuo a mantenermi appoggiato, per paura che non mi cedano le gambe.
Ma che mi è successo? Non ricordo. Eppure faccio fatica.
Ho uno specchio in camera. Lo so, è lì.
Mi volto verso di lui.
Perchè c'è un altro me lì, che mi guarda? Deve essere un sogno. Sì, deve senz'altro essere un sogno. Quando rido, ride pure lui, quasi a scherzare con me. Però non piango, quindi non so come reagirebbe lui. Provo a farci amicizia. Ma non pare capire ciò che gli dico. Anzi, se chiudo gli occhi ho l'impressione che lui li tenga aperti per guardarmi, forse anche per burlarsi di me. E io, per sentirmi più forte li tengo il più chiusi possibile. Se pensa di mettermi in soggezione osservandomi in maniera così subdola e vigliacca, si sbaglia; pf, e io che lo chiamavo amico. Sì, lui si sbaglia. Io sono ok.
Chiudo gli occhi stringendo ogni muscolo del viso, sforzandomi.

Il tempo passa, anche se lentamente.

Inizio a sentire fame, ma quanto tempo sta passando? Io continuo a tenere gli occhi chiusi. Non voglio di certo cedere per primo. Magari se io li apro, poi li chiude lui, per ripicca.
Lasciamo le cose così come stanno.

Se non ci fosse la parete di fianco a me penso sarei già crollato.
Aspetta, ma sono certo che sia la parete quella di fianco a me?

Sono qui con gli occhi chiusi da così tanto tempo che non sono più sicuro di nulla. No, non ne sono sicuro.

Sento sempre più fame, ma non mi darò per vinto. Ma non ne sono così sicuro.
Tocco con la mano libera il mio stomaco. Io ho fame, ma l'addome è bello gonfio. Sicuramente per quello le ginocchia continuano a tremarmi. Sono troppo pesante.

Ad un tratto il buio diventa ancora più presente di quanto non lo fosse stato fino a quel momento.
Cosa mi sta succedendo? Non sento più le gambe. Sento i brividi lungo la schiena. Ho freddo. Le mie mani implorano pietà. Il mio corpo pare martoriato. Ma non aprirò gli occhi. Ho la nausea. E' da tanto tempo che non vomito. Sarà il caso di andare in bagno; il mio amico capirà.

Piano piano apro il primo occhio, per sbirciare cosa sta facendo il mio amico. Il mio è un tentativo. Non ci riesco. C'è troppa luce. Non sto bene. Non voglio vedere la luce. No. Però ho bisogno di vomitare. Provo ad aprir entrambi gli occhi, in un colpo, senza temporeggiare.

NO! la luce è troppo forte. Le gambe non tengono più. Sto crollando.

La mano, che era fin lì stata appoggiata al muro, scivola lentamente sul corpo, che in un attimo crolla, provocando un rumore assordante, -diranno poi gli inquilini del piano di sotto, spaventatisi.-
la testa colpisce fortemente per terra – diranno poi i medici.-
Il mio corpo rimane inerme, per terra.

Il tempo passa, pare un eternità.

L'indomani apro gli occhi. Cos'è tutto questo bianco attorno a me?
Sono in ospedale.
Un medico, rimasto tutta la notte di fianco a me – mi confidò lui stesso-, quasi sorride quando vede i miei occhi aprirsi.
Dice che gli stavo a cuore, perchè avevo un corpicino così piccolo, minuto e secco – furono parole sue queste- e non riusciva a capire per quale motivo non mangiassi da una settimana.
Le sue parole per me furono una coltellata nella schiena. Mentiva.
'Lei si sbaglia. Ho mangiato l'altro ieri. Non vede il mio corpo? Sono alto la sua esatta metà, e peso il suo esatto doppio'
Il medico non tolse per un solo attimo i suoi occhi dai miei.
Riporto le sue parole furiose e calme allo stesso momento,dette in tono pacato:
'E' alto un metro e 82, e pesa 41 kg'
' Ma il mio amico specchio mi ha detto che …'
'Combatteremo insieme, e se lo vorrà, la mano potrà appoggiarla a me, non più alla parete' disse ancora con tono pacato.

Rimasi tutto d'un pezzo. Ma da sdraiato, alzai il mio braccio e voltai il palmo della mia mano destra affinchè potessi vederlo.

Era del colore della parete, sotto le unghie c'era addirittura vernice bianca, quasi come se avessi lottato con le mura della mia cameretta.

Prima di andarsene da quella stanza, mi disse le parole che mi fecero più male di ogni altro giudizio che mi ero toccato subire dalle persone accanto a me. Le ricordo bene.
Erano : ' Io e lei lotteremo insieme, ma la smetta di guardarsi allo specchio di camera sua. In camera sua non c'è alcun specchio.' e mentre mi diceva queste parole teneva appoggiata la sua mano sulla mia spalla.

Il tempo passa, e va sempre più veloce. Adesso sì, va veloce.