Con la sua tesi, Monchio, 18 marzo 1944. Una rilettura della strage attraverso le fonti cinematografiche e le fonti orali, Giulia Grossi si sofferma sull'indagine di quelle drammatiche vicende che, durante uno dei periodi più complessi della storia d'Italia, interessarono anche il nostro Appennino. Un valido apporto per l'analisi del fenomeno della Resistenza italiana e delle sue molteplici sfaccettature; la ricerca si concentra sulla strage che colpì Monchio il 18 marzo 1944 e cerca di risvegliarne la memoria attraverso la voce di coloro che furono testimoni di quella violenza.
di Martina Galvani
Ancora una volta si cerca di fare un po’
di luce sul tema della Resistenza italiana e sul coinvolgimento delle nostre
zone di montagna in questa complessa fase della seconda guerra mondiale. Questa
guerra, che si consumò in Italia tra il settembre del ’43 e l’aprile del ’45, ha
addirittura incontrato la definizione di «guerra civile»[1]. Tale
definizione deve certamente essere accompagnato da un apparato di spiegazioni
chiarificanti, che impediscano facili strumentalizzazioni da parte fascista, ma
con le opportune cautele è lecito parlarne anche in questi termini[2]. Quest’ultima
fase bellica, infatti, vide il popolo italiano scisso; parte di esso si oppose
all’invasione tedesca e al totalitarismo fascista, intessendo una difficile
collaborazione con l’esercito alleato, ma un’altra parte si schierò con la
nuova Repubblica Sociale Italiana.
Tre organizzazioni governativo - politiche
dividevano la popolazione in quel momento, alimentando una confusione
destabilizzante; tre centri direttivi era presenti sul territorio italiano: il
Regno del Sud, il cui governo era stato affidato dal Re al generale Badoglio, la
cosiddetta Repubblica di Salò fondata da Mussolini sotto la coordinazione
tedesca e infine il Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) che coordinava le
operazioni partigiane. In più il suolo di un’Italia già provata dalle penurie
della guerra era occupato da due eserciti stranieri: dal confine nord fino alla
linea Gustav, nei pressi di Cassino, erano scese le milizie tedesche, mentre
gli alleati, sbarcati in Sicilia, erano riusciti a giungere fino alla capitale.
Al
di là di ogni semplificazione è dunque molto difficile, se non impossibile,
classificare patrioti e traditori in quello che fu un periodo tra i più
complessi della storia d’Italia. Non tutti coloro che si schierarono con la RSI
lo fecero per convinzione: opportunismo, fedeltà a vecchi ideali o totale mancanza
di una coscienza politica furono altrettanti validi motivi che spinsero a dare
la fiducia al governo che fino a tre mesi prima aveva tirato le redini del
Paese. Allo stesso modo è riduttivo parlare solo ed esclusivamente di
patriottismo per quanto riguarda quella parte d’Italia che invece si oppose al
paese che in brevissimo tempo si era trasformato da alleato a nemico invasore. Ancora
una volta è opportuno riferirsi a Pavone che ha parlato di triplice guerra:
patriottica, civile e di classe.[3]
Quello
che però qui ci interessa e che interessa il nucleo della tesi di Giulia
Grossi, intitolata Monchio, 18 marzo
1944. Una rilettura della strage attraverso le fonti cinematografiche e le
fonti orali, va oltre a qualunque dibattito circa la legittimità di quella
scelta fondamentale che riguardò la coscienza di ogni italiano dopo
l’armistizio. Tale contributo, infatti, si sofferma sulla ricostruzione dei
fatti che riguardarono quella parte di popolazione che inerme, e per un certo
senso inconsapevole, si trovò nel bel mezzo di stragi e rappresaglie. Come
sappiamo infatti anche i civili, in gran parte estranei alla complessa
situazione politica o del tutto disinformati, si ritrovarono loro malgrado protagonisti
della violenza e della brutalità della guerra.
Dopo
un primo capitolo dedicato alla contestualizzazione storica delle stragi di
civili, che lacerarono diverse zone d’Italia, il secondo si concentra nello
specifico sull’eccidio di Monchio, Costringano e Susano che ebbe luogo il 18
marzo 1944. I fatti che qui vengono indagati hanno la loro origine nel
cosiddetto ‘proclama Badoglio’, che il 3 settembre 1943 l’allora capo del
governo firmò e che fu quasi obbligato a rendere pubblico in diretta
radiofonica cinque giorni dopo la sua stipula; il generale Eisenhower infatti lo
aveva già comunicato tramite Radio Algeri e dunque la sua ufficialità non
poteva più essere procrastinata. Fu da quel momento in poi che l’Italia prendeva
coscienza di avere il nemico ‘in casa’ e fu da allora che le brigate partigiane
cominciarono a formarsi pian piano ed in modo chiaramente non omogeneo. Ma,
nello specifico, è la primavera del ’44 il periodo che viene analizzato in questo contributo, perché fu proprio in questa fase della
guerra che le nostre zone furono inevitabilmente straziate da un combattimento
tra le milizie tedesche e le forze partigiane. Questo fu infatti il momento in
cui il comando tedesco diede avvio ad un nuovo ciclo di rastrellamenti in
Italia, in particolare in Emilia, Liguria e Piemonte.
Come
ricorda Don Luigi Braglia nel suo scritto, Santa
Giulia nei monti, il 18 marzo alle sei del mattino da Montefiorino i
cannoni iniziarono a bombardare Monchio e i paesi vicini, a ciò si aggiunse poi
un attacco di fanteria nella strada che collegava Savoniero a Monchio. Nel
frattempo giunsero anche le milizie tedesche di Hermann Göring in cerca dei ribelli,
ma la maggior parte di loro era riuscita a fuggire e nelle abitazioni
rimanevano solo donne, bambini e anziani. A questo punto la situazione diventa
difficilmente riassumibile, perché assume caratteri specifici da zona a zona
che necessitano di essere descritti in modo dettagliato. La tesi si
sofferma proprio su questo tipo di narrazione e ne descrive i particolari in
modo minuzioso.
Questo lavoro si conclude poi con un capitolo, il terzo, dedicato all’approfondimento del
film Sopra le nuvole, il quale
ricostruisce le tragiche vicende che interessarono il nostro Appennino in
questo periodo. Non manca inoltre un corposo appendice in cui sono riportate le
testimonianze di alcuni dei sopravvissuti,
raccolte tra Monchio e Lama di Monchio, utili per comprendere le vicende
attraverso la viva voce di chi ha potuto testimoniarne la drammaticità.
Monchio, 18 marzo 1944.
Una rilettura della strage attraverso le fonti cinematografiche e le fonti
orali è dunque un valido
contributo per un’indagine della storia d’Italia e del nostro Appennino che
permette di ricostruire quelle vicende che, non troppi anni fa, macchiarono il
paese con il sangue di tanti innocenti.
LINK correlati
- Tesi di laurea sulla strage del 18 marzo 2014 (la Luna nuova - Ottobre 2014 - num 45)
- la LUNA nuova, ottobre 2014, num. 45
[1] Il primo ad usare questo termine,
che fino ad allora si era volontariamente evitato, è stato lo storico Claudio
Pavone nel saggio del 1991, intitolato Una
guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza.
[2]Sulla
moralità nella Resistenza. Conversazione con Claudio Pavone condotta
da Daniele Borioli e Roberto Botta, contenuta in Quaderno
di Storia Contemporanea numero, n. 10, 1991, pagine 19-42: «Bisogna
innanzitutto dire che il mio libro ha dovuto subire come dire - uno
stiracchiamento da destra. Nel senso che i fascisti, che hanno sempre
utilizzato, ma a torto, questo concetto come strumento per fare passare una
equiparazione tra le due parti, ora sembrano dire: ecco, lo dice uno di loro, e
quindi vuol dire che noi avevamo ragione e le due parti erano uguali. […]Da
sinistra invece c'è stato un malumore, che però va scemando. Lo stesso
Vendramini, che nella prefazione agli atti del convegno di Belluno aveva
assunto una posizione un po' difensiva a causa di tutte le obiezioni che aveva
avuto in loco contro la sua lodevole iniziativa (8), poi mi ha detto: però tu
sei riuscito a far passare questo concetto anche nella cultura di sinistra e,
una volta tanto, ci sei riuscito prima che ce lo imponessero gli altri».
[3] Cfr. C. Pavone, op. cit.
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