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lunedì 3 novembre 2014

MONCHIO, 18 MARZO 1944. UNA RILETTURA DELLA STRAGE ATTRAVERSO LE FONTI CINEMATOGRAFICHE E LE FONTI ORALI


Con la sua tesi, Monchio, 18 marzo 1944. Una rilettura della strage attraverso le fonti cinematografiche e le fonti orali, Giulia Grossi si sofferma sull'indagine di quelle drammatiche vicende che, durante uno dei periodi più complessi della storia d'Italia, interessarono anche il nostro Appennino. Un valido apporto per l'analisi del fenomeno della Resistenza italiana e delle sue molteplici sfaccettature; la ricerca si concentra sulla strage che colpì Monchio il 18 marzo 1944 e cerca di risvegliarne la memoria attraverso la voce di coloro che furono testimoni di quella violenza


di Martina Galvani

Ancora una volta si cerca di fare un po’ di luce sul tema della Resistenza italiana e sul coinvolgimento delle nostre zone di montagna in questa complessa fase della seconda guerra mondiale. Questa guerra, che si consumò in Italia tra il settembre del ’43 e l’aprile del ’45, ha addirittura incontrato la definizione di «guerra civile»[1]. Tale definizione deve certamente essere accompagnato da un apparato di spiegazioni chiarificanti, che impediscano facili strumentalizzazioni da parte fascista, ma con le opportune cautele è lecito parlarne anche in questi termini[2]. Quest’ultima fase bellica, infatti, vide il popolo italiano scisso; parte di esso si oppose all’invasione tedesca e al totalitarismo fascista, intessendo una difficile collaborazione con l’esercito alleato, ma un’altra parte si schierò con la nuova Repubblica Sociale Italiana.
Tre organizzazioni governativo - politiche dividevano la popolazione in quel momento, alimentando una confusione destabilizzante; tre centri direttivi era presenti sul territorio italiano: il Regno del Sud, il cui governo era stato affidato dal Re al generale Badoglio, la cosiddetta Repubblica di Salò fondata da Mussolini sotto la coordinazione tedesca e infine il Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) che coordinava le operazioni partigiane. In più il suolo di un’Italia già provata dalle penurie della guerra era occupato da due eserciti stranieri: dal confine nord fino alla linea Gustav, nei pressi di Cassino, erano scese le milizie tedesche, mentre gli alleati, sbarcati in Sicilia, erano riusciti a giungere fino alla capitale.
Al di là di ogni semplificazione è dunque molto difficile, se non impossibile, classificare patrioti e traditori in quello che fu un periodo tra i più complessi della storia d’Italia. Non tutti coloro che si schierarono con la RSI lo fecero per convinzione: opportunismo, fedeltà a vecchi ideali o totale mancanza di una coscienza politica furono altrettanti validi motivi che spinsero a dare la fiducia al governo che fino a tre mesi prima aveva tirato le redini del Paese. Allo stesso modo è riduttivo parlare solo ed esclusivamente di patriottismo per quanto riguarda quella parte d’Italia che invece si oppose al paese che in brevissimo tempo si era trasformato da alleato a nemico invasore. Ancora una volta è opportuno riferirsi a Pavone che ha parlato di triplice guerra: patriottica, civile e di classe.[3]
Quello che però qui ci interessa e che interessa il nucleo della tesi di Giulia Grossi, intitolata Monchio, 18 marzo 1944. Una rilettura della strage attraverso le fonti cinematografiche e le fonti orali, va oltre a qualunque dibattito circa la legittimità di quella scelta fondamentale che riguardò la coscienza di ogni italiano dopo l’armistizio. Tale contributo, infatti, si sofferma sulla ricostruzione dei fatti che riguardarono quella parte di popolazione che inerme, e per un certo senso inconsapevole, si trovò nel bel mezzo di stragi e rappresaglie. Come sappiamo infatti anche i civili, in gran parte estranei alla complessa situazione politica o del tutto disinformati, si ritrovarono loro malgrado protagonisti della violenza e della brutalità della guerra.
Dopo un primo capitolo dedicato alla contestualizzazione storica delle stragi di civili, che lacerarono diverse zone d’Italia, il secondo si concentra nello specifico sull’eccidio di Monchio, Costringano e Susano che ebbe luogo il 18 marzo 1944. I fatti che qui vengono indagati hanno la loro origine nel cosiddetto ‘proclama Badoglio’, che il 3 settembre 1943 l’allora capo del governo firmò e che fu quasi obbligato a rendere pubblico in diretta radiofonica cinque giorni dopo la sua stipula; il generale Eisenhower infatti lo aveva già comunicato tramite Radio Algeri e dunque la sua ufficialità non poteva più essere procrastinata. Fu da quel momento in poi che l’Italia prendeva coscienza di avere il nemico ‘in casa’ e fu da allora che le brigate partigiane cominciarono a formarsi pian piano ed in modo chiaramente non omogeneo. Ma, nello specifico, è la primavera del ’44 il periodo che viene analizzato in questo contributo, perché fu proprio in questa fase della guerra che le nostre zone furono inevitabilmente straziate da un combattimento tra le milizie tedesche e le forze partigiane. Questo fu infatti il momento in cui il comando tedesco diede avvio ad un nuovo ciclo di rastrellamenti in Italia, in particolare in Emilia, Liguria e Piemonte.
Come ricorda Don Luigi Braglia nel suo scritto, Santa Giulia nei monti, il 18 marzo alle sei del mattino da Montefiorino i cannoni iniziarono a bombardare Monchio e i paesi vicini, a ciò si aggiunse poi un attacco di fanteria nella strada che collegava Savoniero a Monchio. Nel frattempo giunsero anche le milizie tedesche di Hermann Göring in cerca dei ribelli, ma la maggior parte di loro era riuscita a fuggire e nelle abitazioni rimanevano solo donne, bambini e anziani. A questo punto la situazione diventa difficilmente riassumibile, perché assume caratteri specifici da zona a zona che necessitano di essere descritti in modo dettagliato. La tesi si sofferma proprio su questo tipo di narrazione e ne descrive i particolari in modo minuzioso.
Questo lavoro si conclude poi con un capitolo, il terzo, dedicato all’approfondimento del film Sopra le nuvole, il quale ricostruisce le tragiche vicende che interessarono il nostro Appennino in questo periodo. Non manca inoltre un corposo appendice in cui sono riportate le testimonianze di alcuni dei sopravvissuti, raccolte tra Monchio e Lama di Monchio, utili per comprendere le vicende attraverso la viva voce di chi ha potuto testimoniarne la drammaticità.
Monchio, 18 marzo 1944. Una rilettura della strage attraverso le fonti cinematografiche e le fonti orali è dunque un valido contributo per un’indagine della storia d’Italia e del nostro Appennino che permette di ricostruire quelle vicende che, non troppi anni fa, macchiarono il paese con il sangue di tanti innocenti.





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[1] Il primo ad usare questo termine, che fino ad allora si era volontariamente evitato, è stato lo storico Claudio Pavone nel saggio del 1991, intitolato Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza.
[2]Sulla moralità nella Resistenza. Conversazione con Claudio Pavone condotta da Daniele Borioli e Roberto Botta, contenuta in Quaderno di Storia Contemporanea numero, n. 10, 1991, pagine 19-42: «Bisogna innanzitutto dire che il mio libro ha dovuto subire come dire - uno stiracchiamento da destra. Nel senso che i fascisti, che hanno sempre utilizzato, ma a torto, questo concetto come strumento per fare passare una equiparazione tra le due parti, ora sembrano dire: ecco, lo dice uno di loro, e quindi vuol dire che noi avevamo ragione e le due parti erano uguali. […]Da sinistra invece c'è stato un malumore, che però va scemando. Lo stesso Vendramini, che nella prefazione agli atti del convegno di Belluno aveva assunto una posizione un po' difensiva a causa di tutte le obiezioni che aveva avuto in loco contro la sua lodevole iniziativa (8), poi mi ha detto: però tu sei riuscito a far passare questo concetto anche nella cultura di sinistra e, una volta tanto, ci sei riuscito prima che ce lo imponessero gli altri».
[3] Cfr. C. Pavone, op. cit.

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