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mercoledì 1 giugno 2016

IN VIAGGIO



Ugo Beneventi


Otto dicembre: festa del’’Immacolata Concezione.
Personalmente ho scoperto l’importanza liturgica di questa festa solamente nel 1945, anno del mio ingresso nel Seminario di Fiumalbo. Ho ancora viva, stampata nella mente, la magia di quella giornata solenne; soprattutto la visione della Cappella. Non mi è mai sfuggita la data  dell’otto dicembre. Ovunque io fossi, il mio pensiero correva lassù, al raccoglimento di quel piccolo luogo, grato alla Vergine Immacolata, per le emozioni vissute in quella “specialissima giornata”.
Vedo ancora la statua della Vergine venirmi incontro, in un tripudio di luci sfolgoranti, avvolta in una ghirlanda di gigli purissimi e profumati, tanto da far sembrare dicembre, allora lassù mese veramente di ghiaccio e di palle di neve, il maggio delle rose.
“Palle di neve”: in quanto c’era in giardino un alberello, ben visibile dalla chiesa, che fioriva in dicembre, e i suoi fiori li chiamavamo, appunto: “palle di neve”.
Ricordo che per accedere alla cappella bisognava passare dalla sacrestia, mentre i celebranti  indossavano i paramenti per la Messa solenne. Il colore era il bianco: candido come la neve, e simbolo di purezza e di castità dei sacerdoti. Immagini e sensazioni che non mi lasceranno più.
Sulle loro facce era dipinta la gioia che, essi, si scambiavano a vicenda, coll’augurale saluto del: “Prosit”.
Allora il Seminario era pieno di Sacerdoti: Don Medardo, Don Renzo, Don Antonio, Don Dante e tanti, tanti altri. Io non avevo mai assistito ad una cerimonia così pomposa; non vi ero assolutamente preparato. Non sapevo nemmeno che in quel giorno si consegnasse la veste talare agli alunni di quarta ginnasiale, motivo per cui, in quel giorno, si aggiungeva festa alla festa. La cappella straripava di parenti, venuti da ogni dove per assistere alla vestizione dei loro “pretini” e qualcuno sognava già, in cuor suo, future cerimonie di consacrazione a Vescovi e Cardinali dei loro figlioli.
Dentro di me, invece, bollivano  e ribollivano assieme gioia e solitudine. Io c’ero, ma avevo la sensazione di trovarmi lì per puro caso; erano cose che a me non riguardavano: nessuno si curava di me. Ricordi che affiorano, oggi, alla mia memoria, vedendo Papa Francesco che porta i “barboni” di Roma, lavati e ben sbarbati, in visita alla Cappella Sistina, seguita da pranzo “papale”. Tuttavia sentivo, o almeno così mi sembrava, che la Vergine mi fosse ugualmente vicina, e ciò mi permetteva di inserirmi e gustarmi la festa.
Avevo, tra l’altro, escogitato un escamotage: oltre che Madre di Dio, consideravo la Madonna come amica; come la... “mia fidanzata”, così non avevo più bisogno di intermediari. L’avevo idealizzata al massimo grado, come solamente sanno fare i ragazzi lasciati a se stessi. Mi comportavo come fa il bambino con la mamma, quando le dice che le vuole bene e che da grande... “la vuole sposare”.
Penso che, vedendomi così mentalmente “indaffarato”, la Vergine Benedetta sorridesse benigna di questo bamboccio “ingarbugliato”, come farebbe ogni mamma di questo mondo.
Fin qui la mia storia. Una piccola storia da tre soldi, per un verso insignificante e brutta, per altro aspetto, invece, “meravigliosa” e ben riuscita: me la sono cavata. Avrei voluto fare il prete, avrei voluto avere “un pulpito tutto mio”, ma questo è un altro discorso...
Dopo una guerra disastrosa che aveva devastato l’anima di grandi e piccini, ho vissuto quel periodo del seminario come un sogno, un meraviglioso sogno di normalità, ma c’era sempre qualcosa che mi ricordava che normale non ero. Mi si diceva che, per fare il prete, avrei avuto bisogno di una dispensa speciale del Papa, ma allora il Papa, anche per un seminarista, era un’entità astratta. Sul trono di Pietro sedeva il principe Eugenio Pacelli; nulla di più lontano dalla gente; fermo ancora al bacio della pantofola.
Da allora è come se fossero passati secoli; sotto i ponti del Tevere è transitata parecchia acqua. Intanto la mia vita ha proseguito il suo cammino ed anch’io sono arrivato al rush finale. Ho riempito la mia vita con la famiglia, il lavoro, un po’ di politica e il sindacato. Mi resta da percorrere il tratto più impegnativo, ma non mi spaventa; mi sento al sicuro, in buona compagnia. Mi porto ancora nel cuore la Vergine Maria: l’Immacolata, quella di “Fiumalbo”, della quale il mio animo è ancora innamorato, e con la guida del più grande Papa degli ultimi diciotto secoli di storia della Chiesa, la mia vita, nell’Anno Santo della Misericordia, non può che finire bene ed avere un senso pieno. Per dirla con S. Paolo: “Ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede”. Il resto...
Mi proietto nel futuro per mano a Francesco e, al suo fianco, tutte le distanze si  accorciano ed i pesi si fanno più leggeri. Anche uno della mia... stirpe, con lui vicino, forse, avrebbe potuto fare il prete.
Oggi, 18 dicembre 2015, ho seguito alla televisione la cerimonia di apertura della Porta Santa presso l’Ostello della Caritas a Roma, ed ho ascoltato la sua omelia. "Dio" - ha detto - "si trova nell’umiltà, negli ultimi. Non saranno gli onori né i soldi ad aprirci le porte del cielo, bensì la carità verso gli ultimi".
Ha citato le parole del Vangelo:  "Avevo fame e mi avete dato da mangiare, avevo sete e mi avete dato da bere...", alle quali mi permetto di aggiungere: “Ero sporco, sudicio e maleodorante e mi avete soccorso con la doccia calda e ristoratrice; avevo la barba lunga, incolta, e pidocchiosa e mi avete fornito gratis il barbiere; ero disperato e mi avete restituito un po’ di dignità; ero solo e mi avete fatto compagnia”.
è su queste cose che saremo chiamati a giudizio.
Ho anche letto, in questi giorni, per l’ennesima volta, “I Fratelli Karamazov” di Dostoevskij, ed il mio pensiero è andato all’interrogatorio, da parte del Grande Inquisitore, al “Disturbatore” silente del romanzo: "Perché sei venuto a disturbarci?" - gli chiede, rabbioso, il grande Inquisitore, il Cardinal “Torquemada” -  "Sei venuto infatti a disturbarci, lo sai anche tu", gli ribadisce stizzoso, l’iroso porporato.
Ho ascoltato alla televisione, non molto tempo fa, alcuni di questi...”disturbati” paludati di rosso, dire che non potrebbero di certo rinunciare ai loro “appartamentini”, ai loro libri... Dove li metterebbero? Ascoltandoli, mi sono convinto che se anche tornasse in Vaticano Gesù Cristo in persona, ci sarebbe sempre qualcuno che non esiterebbe un istante a farlo arrestare e a scomunicarlo “Ipso facto”.
Disturbare la privacy delle loro Eminenze; ficcare il naso nel loro segreto bancario, è estremamente pericoloso: ai farisei di tutti i tempi e di tutti i luoghi non è mai piaciuto stare sotto i riflettori; essere esposti troppo a lungo alla luce. La luce li disturba, fa male ai loro occhi. Non per nulla, parecchi di loro, portano pesanti occhiali neri. Torquemada non è morto del tutto. Ancora una volta urla in faccia al povero Cristo il suo: "Taci... Non potresti aggiungere altro a ciò che dicesti allora". Anzi! "Domani stesso ti condannerò e ti farò ardere sul rogo, come il peggiore degli eretici".
Essere “pezzi grossi”, magari di Santa Romana Chiesa alla stregua del grande inquisitore spagnolo, non è garanzia assoluta di sapienza divina. Per imparare a conoscere Gesù Cristo non è necessaria una ben fornita biblioteca di libri preziosi; basta il Vangelo. A dissipare la matassa, facciamoci aiutare da Matteo: “Gesù prese a dire: "Io ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e agli intelligenti, e le hai rivelate ai piccoli. Sì, Padre, perché così ti è piaciuto" (Mt. 11,25-26).
Il nostro è un Dio, dice Bergoglio, che scompagina i piani dei potenti. "Sì, Padre, perché così ti è piaciuto" e...”più non dimandare”.
Non c’era posto per Lui in albergo nemmeno quando nacque, figuriamoci se possono ospitarlo oggi nei sacri palazzi apostolici, assieme a Vescovi, Arcivescovi e Cardinali! Tanto più che tra poco sarà Natale; commemoreremo la nascita del Bambino, quello vero. Con un personaggio così ingombrante tra i piedi, mica potrebbero far finta di piangere su di una mangiatoia d’oro e d’argento, calzando le pantofole rosso porpora da cerimonie solenni. Non scherziamo!
Degli otto Papi della mia vita, incominciando da Pio XI, seguito a ruota da Pio XII, giù, giù fino a Francesco, di tutti costoro il “Disturbatore” è lui: il Papa dalle scarpe “contadine”, “chiamato dalla fine del mondo per essere il Vescovo di Roma”. 
In quella sera e con tre semplici parole ha compiuto la più grande rivoluzione degli ultimi diciotto secoli di storia della Chiesa. Sono: "Buona sera. Sono il nuovo Vescovo di Roma. Pregate per me".
Quanti problemi di fede e di vita ha appianato! Quante strade ha raddrizzato! Anche gli atei gli stanno dedicando un’attenzione ed un ascolto del tutto particolari ed insperati. Usa parole semplici, alla portata di tutti.  Ogni domenica augura a chi l’ascolta: "Buona domenica e buon pranzo"; a conferma che non vi può essere “mens sana in corpore sano”, senza adeguato nutrimento.
I poveri di Roma lo adorano, perché tutti sono invitati alla sua mensa. La sua anima è sincera e generosa e lo si nota specialmente quando dice: "Come vorrei una Chiesa povera e per i poveri". Lo ha dimostrato andando in uno dei paesi più poveri dell’Africa ad aprire la prima Porta Santa del Giubileo della Misericordia. Ha fatto di Bangui, la capitale della Repubblica del Centro Africa, per un giorno, la Capitale mondiale della Cristianità. Con una semplice domanda ha tirato fuori dalla melma (ex stercore), in cui li avevano relegati i ...benpensanti, i gay: "Chi sono io per giudicare i gay?":lui, il Papa!
Era urgente riparare in quanto, senza “riconciliazione”, non si va da nessuna parte. Ecco perché ringrazio Dio per avermi dato la gioia di essere un contemporaneo di Papa Francesco, al cui seguito varcare la Porta Santa del Giubileo, da lui indetto. Senza perdono reciproco, per i figli di Eva, non c’è Salvezza.
In lui l’umanità ha ritrovato un padre, come io ho ritrovato il mio, che tanto mi è mancato. Ora, mano nella mano, ci incamminiamo assieme per le vie del cielo incontro alla pace del cuore (vedi S. Agostino).
Un cuore in pace con se stesso e con Dio è un cuore “capace di tutto”. Capace addirittura di perdonare anche i torti più grandi e dolorosi; capace persino di chiedere perdono, come fa Bergoglio stesso. Questa si chiama Grazia; è Misericordia di Dio: "è inutile aprire le porte sante di tutte le cattedrali del mondo, se non si apre la porta del cuore all’amore" (il Papa ai suoi Cardinali).
Non crediate che  umiliarsi davanti a chi hai offeso sia facile. Chi è capace di farlo non è un debole. Solamente i forti sanno chiedere perdono. San Paolo, scrivendo ai Romani del suo tempo, per non scandalizzare i deboli, li esortava così: "Noi che siamo i forti abbiamo il dovere di sopportare l’infermità dei deboli".
Questo ultimo tratto della mia esistenza terrena, in compagnia di Francesco, è diventato una piacevole “passeggiata” verso la Speranza. Speranza che riesca a “restaurare la sua Chiesa”; che, dopo di lui, ci sia una lunga serie di “Francesco” che riportino la Chiesa ad essere la “Chiesa povera e per i poveri”. è quella “e” che mi fa ben sperare; mi fa capire la grandezza di cuore del nostro Papa, di questo Vescovo di Roma. Con quella semplice “e”, con quella piccola vocale, pone gli ultimi della terra sullo stesso piano di tutti i cristiani del mondo. Ritaglia per loro un posto di primo piano nella Chiesa Cattolica.
Nel mondo ci sono troppi poveri! Ciò significa che, fin qui, qualcosa non ha funzionato. Chi avrebbe dovuto stare sempre, dovunque, e comunque al loro fianco, troppe volte si è schierato con Epulone, contro di loro.
Che le ricchezze di questo mondo appartengano a Satana, lo dice Matteo nel suo Vangelo: "Tutte queste cose (i regni della terra) io ti darò" - dice Satana a Gesù - "se gettandoti ai miei piedi mi adorerai", ma che sia una parte “alta” della gerarchia a stare al suo gioco, è troppo!
Mi permetto un desiderio: "Quanto vorrei anch'io una Gerarchia povera e per i poveri!", in linea con quanto affermano una cinquantina di Padri conciliari del Vaticano II, in un documento che va sotto il titolo di: “Patto della Catacombe”.
Vorrei che si attuassero al più presto almeno un paio di riforme qualificanti che, tra l’altro, non costano nemmeno un soldo: via i titoli costantiniani dalla Chiesa: Eccellenze, Eminenze, Monsignori, ed il Cardinalato. Cosa centra il Cardinalato con Gesù Cristo? Mica era un’Eminenza! 
Le riforme sono quanto mai urgenti, e Francesco ne è consapevole. Non ripetiamo gli errori del passato. Basta dare un’occhiata alla storia della Chiesa per capire che, se il Papa del tempo di Lutero fosse stato un po’ più sollecito nell’attuare certe riforme, forse, quello scisma si sarebbe potuto evitare.
Ma le riforme più difficili sono proprio quelle che non costano nulla. Penso sia così per tutte le religioni del mondo. Oggi, però, siamo in tempi di Ecumene, tempo di confronto e di osservazione reciproca, specialmente tra le tre religioni monoteistiche del mondo: Mussulmani, Ebrei e Cristiani. E se vogliamo smussare gli angoli per trovare un terreno comune per un culto di vera Latria da tributare all’Unico Dio, Vivo e Vero, che le tre religioni monoteistiche adorano, ognuno deve rinunciare a qualcosa. Cominciamo con quelle cose che non comportano implicazioni dottrinali: via i titoli onorifici per i cattolici; libertà per le donne, in casa mussulmana. Con i figli di Israele mi piacerebbe che si parlasse un po’ di più dell’Ebreo Gesù di Nazareth.
Tra cadute e resurrezioni, il mio andare per i deserti della vita termina qui. Spero di non avere sperperato del tutto il patrimonio di talenti, di cui ogni uomo viene dotato fin dall’inizio del suo peregrinare sulla terra.
Alla fine spero nell’intervento della Immacolata di... Fiumalbo: " Entra (pure tu) nella gioia del tuo Signore".




Pubblicato su la Luna nuova - Maggio 2016 - num 48



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