di Enes Ljesnjanin
A fatica riesco ad alzarmi
dal letto. Che succede? Sento le ginocchia tremare, far fatica a
sorreggere il peso del corpo. Appoggio i polsi sul letto, e facendo
leva mi alzo in piedi. Tengo la mano destra attaccata al muro per
aiutarmi a sorreggermi.
'Dov'era l'interruttore
della luce?' penso tra me e me. E' buio nella stanza, e passo piano
piano il palmo della mano sulla parete alla ricerca non ancora
affannosa dell'interruttore.
'Ah, ecco trovato'
sussurro. Deve essere certamente questo.
No, mi sbagliavo, è solo
una presa di corrente.
Continuo a palpare il
muro, adesso ho un po' di ansia, non trovo ciò che sto cercando.
Mi sposto a piccoli passi.
Finalmente la ruvida
superficie toccata fin'ora lascia spazio ad una superficie metallica,
di poco in rilievo.
'Sì, l'interruttore.'
Accendo la luce. Niente
affanno. Sì, niente affanno. Sono in piedi, anche se continuo a
mantenermi appoggiato, per paura che non mi cedano le gambe.
Ma che mi è successo? Non
ricordo. Eppure faccio fatica.
Ho uno specchio in camera.
Lo so, è lì.
Mi volto verso di lui.
Perchè c'è un altro me
lì, che mi guarda? Deve essere un sogno. Sì, deve senz'altro essere
un sogno. Quando rido, ride pure lui, quasi a scherzare con me. Però
non piango, quindi non so come reagirebbe lui. Provo a farci
amicizia. Ma non pare capire ciò che gli dico. Anzi, se chiudo gli
occhi ho l'impressione che lui li tenga aperti per guardarmi, forse
anche per burlarsi di me. E io, per sentirmi più forte li tengo il
più chiusi possibile. Se pensa di mettermi in soggezione
osservandomi in maniera così subdola e vigliacca, si sbaglia; pf, e
io che lo chiamavo amico. Sì, lui si sbaglia. Io sono ok.
Chiudo gli occhi
stringendo ogni muscolo del viso, sforzandomi.
Il tempo passa, anche se
lentamente.
Inizio a sentire fame, ma
quanto tempo sta passando? Io continuo a tenere gli occhi chiusi. Non
voglio di certo cedere per primo. Magari se io li apro, poi li chiude
lui, per ripicca.
Lasciamo le cose così
come stanno.
Se non ci fosse la parete
di fianco a me penso sarei già crollato.
Aspetta, ma sono certo che
sia la parete quella di fianco a me?
Sono qui con gli occhi
chiusi da così tanto tempo che non sono più sicuro di nulla. No,
non ne sono sicuro.
Sento sempre più fame, ma
non mi darò per vinto. Ma non ne sono così sicuro.
Tocco con la mano libera
il mio stomaco. Io ho fame, ma l'addome è bello gonfio. Sicuramente
per quello le ginocchia continuano a tremarmi. Sono troppo pesante.
Ad un tratto il buio
diventa ancora più presente di quanto non lo fosse stato fino a quel
momento.
Cosa mi sta succedendo?
Non sento più le gambe. Sento i brividi lungo la schiena. Ho freddo.
Le mie mani implorano pietà. Il mio corpo pare martoriato. Ma non
aprirò gli occhi. Ho la nausea. E' da tanto tempo che non vomito.
Sarà il caso di andare in bagno; il mio amico capirà.
Piano piano apro il primo
occhio, per sbirciare cosa sta facendo il mio amico. Il mio è un
tentativo. Non ci riesco. C'è troppa luce. Non sto bene. Non voglio
vedere la luce. No. Però ho bisogno di vomitare. Provo ad aprir
entrambi gli occhi, in un colpo, senza temporeggiare.
NO! la luce è
troppo forte. Le gambe non tengono più. Sto crollando.
La mano, che
era fin lì stata appoggiata al muro, scivola lentamente sul corpo,
che in un attimo crolla, provocando un rumore assordante, -diranno
poi gli inquilini del piano di sotto, spaventatisi.-
la testa
colpisce fortemente per terra – diranno poi i medici.-
Il mio corpo
rimane inerme, per terra.
Il tempo passa,
pare un eternità.
L'indomani apro
gli occhi. Cos'è tutto questo bianco attorno a me?
Sono in
ospedale.
Un medico,
rimasto tutta la notte di fianco a me – mi confidò lui stesso-,
quasi sorride quando vede i miei occhi aprirsi.
Dice che gli
stavo a cuore, perchè avevo un corpicino così piccolo, minuto e
secco – furono parole sue queste- e non riusciva a capire per quale
motivo non mangiassi da una settimana.
Le sue parole
per me furono una coltellata nella schiena. Mentiva.
'Lei si
sbaglia. Ho mangiato l'altro ieri. Non vede il mio corpo? Sono alto
la sua esatta metà, e peso il suo esatto doppio'
Il medico non
tolse per un solo attimo i suoi occhi dai miei.
Riporto le sue
parole furiose e calme allo stesso momento,dette in tono pacato:
'E' alto un
metro e 82, e pesa 41 kg'
' Ma il mio
amico specchio mi ha detto che …'
'Combatteremo
insieme, e se lo vorrà, la mano potrà appoggiarla a me, non più
alla parete' disse ancora con tono pacato.
Rimasi tutto
d'un pezzo. Ma da sdraiato, alzai il mio braccio e voltai il palmo
della mia mano destra affinchè potessi vederlo.
Era del colore
della parete, sotto le unghie c'era addirittura vernice bianca, quasi
come se avessi lottato con le mura della mia cameretta.
Prima di
andarsene da quella stanza, mi disse le parole che mi fecero più
male di ogni altro giudizio che mi ero toccato subire dalle persone
accanto a me. Le ricordo bene.
Erano : ' Io e
lei lotteremo insieme, ma la smetta di guardarsi allo specchio di
camera sua. In camera sua non c'è alcun specchio.' e mentre mi
diceva queste parole teneva appoggiata la sua mano sulla mia spalla.
Il tempo passa,
e va sempre più veloce. Adesso sì, va veloce.
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