Questa volta, sarà diverso.
So di essere sveglio, mi sono lavato il viso con acqua gelida, e sono certo di essere sveglio.
So di essere sveglio, mi sono lavato il viso con acqua gelida, e sono certo di essere sveglio.
Vivo in un mondo di certezze, sono ricoperto d'oro, che gli altri
hanno spontaneamente deciso di attribuirmi. E allora sono sicuro di essere
sveglio.
Mi vesto. Appoggio il cappotto alle spalle, e non esito a
chiudere i bottoni, uno ad uno, fino al terzo, a partire dal basso.
Seduto sulla sedia, allaccio le scarpe. Sistemo il risvolto
del pantalone che mi calza tanto elegante.
Sono pronto. Esco di casa, chiudo la porta dando un solo giro
di chiave. Sono certo basterà.
Faccio le scale che mi portano dal terzo piano all'uscita
della palazzina. Sento il suono di ogni mio passo, limpido e unico, sicuro,
deciso.
Esco, piove. La nebbia sembra non esserci più, ieri sera era
foltissima.
L'ombrello non l'ho preso, ma è stucchevole dover tenere il
braccio alzato . Pensate se la gente girasse con un braccio alzato, di
continuo. Pf, sarebbe comico.
Cammino verso il parco che dista circa 10 minuti da casa mia.
Cammino veloce, imperterrito, a testa bassa. Calcio i sassolini che vedo per
strada, senza un senso apparente, e tanto meno reale.
Non ha un senso, ma lo faccio con decisione, quindi deve
essere per forza la cosa giusta.
Entro nel parchetto. Alzo lo sguardo. Il ragazzo là in fondo
sta correndo, la ragazza che sta entrando con me cammina velocemente e tiene un
cane al guinzaglio.
Improvvisamente mi accorgo di avere caldo, vorrei togliere
ogni vestito che ho addosso, ma sono in mezzo ad altre persone.
Sono a disagio.
Sono a disagio.
Tiro fuori il mio pacchetto di Chesterfield rosse; quelle che
si che son sigarette. Accendo la prima sigaretta. Il silenzio assordante del
tabacco bruciare mi travolge. In poco tempo la finisco, la getto a terra e la
calpesto per assicurarmi di averla spenta.
Corro indietro fino a casa.
Tiro fuori un’altra sigaretta. La fumo davanti casa, so
quanto l’odore di fumo disturbi i vicini.
Faccio fatica a trovare le chiavi del portone con la
sigaretta ancora in bocca. Ecco, l’ho trovata. Adesso faccio fatica ad
inserirla nella serratura. Fatto. Corro lungo le scale, sono al terzo piano.
Con un po' di fatica inserisco le chiavi nella serratura. La apro. Entro. La
casa è vuota, come sempre poi.
Non ci penso, lancio le scarpe in corridoio, tolgo il
cappotto slacciando uno per uno i 3 bottoni, dall'alto verso il basso, e lo
getto sul divano davanti a me. Tolgo ogni altro vestito rimasto a coprire il
mio corpo. Getto gli indumenti per terra, di fianco al tavolo di legno
massiccio, comprato oramai qualche anno fa.
Vado allo specchio. Mi guardo. Sono nudo, ma mi sento ancora
a disagio.
Devo togliere ancora qualcosa. Non so che cosa. Niente più
eleganza, la certezza rimane subdola, inutile, o meglio, inesistente.
Non è mai esistita.
Sono insicuro, e quando devo essere io a guidare il timone,
mi lego a stupidi dettagli, come i bottoni del cappotto, o come la descrizione
di quel tavolo. Mannaggia a me.
Sono vuoto, non ho legami, non so chi sono.
Apro la finestra, sento un freddo incredibile. Mi siedo sul
davanzale, ma non avendo certezze, non so cosa fare. Sento una mano sulla
spalla, ho la speranza che qualcuno mi tiri via da lì. Ma non succede. Io non
mi volto.
Non vedo niente, se non la staccionata della casetta di
fronte alla mia palazzina.
Poi sento una pressione, lieve. Una spinta.
La mano appoggiata sulla mia spalla mi spinge giù.
Cado, denudato di ogni cosa, tranne del fatto che nell'esatto
momento in cui mi ero seduto sul davanzale, e avevo sentito quella mano
appoggiata a me, avevo la speranza di poter tornare coi piedi per terra, ed
essere salvato.
Lo sapevo io, che stavo bene con la testa, che ero normale, e
che ero rimasto attaccato alla vita.
Ma credo proprio di essermene accorto troppo tardi.
Ma credo proprio di essermene accorto troppo tardi.
EL